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Minni di virgini, quelle forme tollerate dal Santo Uffizio

PALERMO. Sontuose. Maliziose. Leggere. Con quella ciliegia candida birichina che lascia intendere tutto, ma di certo non pensieri monastici. Eppure le «minni di virgini» erano veramente dolci conventuali: le descrive anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel «Gattopardo» in cui Don Fabrizio le chiama «impudiche paste delle Vergini» e si chiede «come mai il Santo Uffizio, quando lo poteva, non pensò mai di proibire questi dolci?»; sempre don Fabrizio parla anche del Trionfo di gola, con «il verde opaco dei pistacchi macinati…». Ma ritorniamo alle «minni di virgini», dolce di origine antichissima, che attraversa un po’ tutta l’Isola: a Catania si chiamano Minne di sant’Agata, a Sambuca sono il dolce tipico, che si dice sia stato creato nel 1725 da suor Virginia Casale di Rocca Menna, del Collegio di Maria.

Per prima cosa, bisogna fare la pastafrolla, con un chilo di farina 00, 180 gr di strutto, 500 gr di zucchero, 3 uova, Marsala, vaniglia e cannella: va lavorata la farina con lo strutto, disponendola a fontana e aggiungendo zucchero, uova, marsala e spezie. Impastata e lasciata riposare coperta da uno strofinaccio. Nel frattempo si prepara la crema con un chilo di ricotta di pecora, 150 gr di zucchero a velo, 150 gr di zuccata e una tavoletta di cioccolata fondente. Quindi si stende la pasta con un matterello per ricavare una sfoglia sottile, da cui si tagliano dei cerchi. Ricoprire stampi imburrati e infarinati e porre al centro un cucchiaio di crema; con i cerchi di pastafrolla rimasti, vanno chiusi gli stampini e infornati poi a 180 gradi per 20 minuti, sfornare e capovolgere su una gratella a raffreddare. Nel frattempo va preparata la famosa glassa: 350 gr di zucchero a velo a cui va aggiunto pian piano un albume e il succo di limone. Glassare i dolci uno per volta e disporre su ciascuno una ciliegina candida come un capezzolo. Erano famose le «minni» del monastero di Santa Maria delle Vergini che dal 1300 accoglieva nobili signore dell’ordine di san Benedetto, come scrive il Villabianca, che lo sistema comodamente nello stesso luogo in cui sorgeva la chiesa di Sant’Andrea Apostolo, nel basso Cassaro.

Nelle sue fabbriche, era stata inglobata l’antica porta Oscura e nel 1454 accolse anche la chiesa normanna di San Teodoro. All’interno del chiostro – che faceva parte del convento oggi purtroppo abbandonato e occupato da alcuni sfrattati – c’era persino una sorgente, collegata al fiume Papireto, che aveva originato un laghetto dove le monache «prendevano diletto» su una barchetta a remi.

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