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Insegniamo ai giovani la bellezza morale del potere

Caro Presidente che sarà, oggi L’ho pensata allo specchio di casa Sua al mattino, in pigiama, nel Suo primo giorno alla guida del governo regionale. E L’ho vista, dopo un primo soddisfatto sorriso e con le orecchie e la memoria rimbombanti dei festeggiamenti del giorno prima, mutare sguardo, incupirsi incredulo e distogliere rapido gli occhi come per proteggersi. In quel Suo specchio familiare ecco un che di alieno e terribile: un treno che Le veniva addosso. Proprio un treno, visto come da chi sta sui binari. Spietatamente veloce. Senza scampo. E L’ho capita.

Le era arrivata addosso la Sicilia con tutte le sue emergenze, sia vecchie che recenti. Micidiali, come un treno inarrestabile. No, non è che Lei non lo sapesse. Anzi, ne aveva tanto studiato. Ne aveva cercato i rimedi. E ne aveva tanto parlato in campagna elettorale. Così bene e così in affidabile compagnia di futuri colleghi di governo, da vincere le elezioni. Lei aveva proposto e promesso ai siciliani alcuni convincenti rimedi, distribuendoli nel tempo così saggiamente da ricevere fiducia e prevalere sugli altri competitori.

Ma da quel primo giorno, da quello specchio in poi, Le cambiava la vita. Diveniva operativo. Io non voglio, in questo momento di faticosa campagna elettorale, arrecarLe troppo disturbo. Ma è ora il tempo giusto per proporLe una riflessione. Ora, prima che sia presidente. Magari ci ha già pensato, ma se così non fosse, devo darLe una cattiva notizia. Cattiva? Insomma, gravosa. Che richiede impegno ulteriore. Questa: programmare anche ciò che non sembra emergenza e invece emergenza è. E a Lei il coraggio non manca. Esco dal vago.

Mentre l’azione dei politici virtuosi è volta ad affrontare e risolvere le emergenze conosciute della disoccupazione, della fiscalità oppressiva, del chimerico sviluppo, delle dolorose «fughe» all’Estero, delle potenzialità imprenditoriali mortificate, delle infrastrutture carenti; e mentre ci si arrovella doverosamente su come mettere a frutto le risorse della nostra impareggiabile Isola, scorre, comunque, il Tempo. E lo scrivo in maiuscolo per sottolinearne il suo significato vitale: quello di luogo astratto di formazione dell’identità, soprattutto e senza eccezioni, dei più giovani. Sappiamo che le persone si formano nei primi anni della vita e che, dopo, non c’è più Tempo.

Ecco, questa è da sempre un’emergenza e lo sarà per sempre perché ogni giorno ha un suo tempo che a sera muore. Seneca lo ricordava al giovane Lucilio, esortandolo a rendere il proprio edificante. Ma, caro Presidente che sarà, sono certo che anche Lei si accorge soffrendo che poco o nulla è preordinato alla formazione nel senso di crescita dei più giovani. Vede, proprio la parola «crescita» è il significato principale della parola «cultura».

Certo, la parola cultura contiene anche – ma soltanto come supporto – i saperi e il patrimonio artistico , e si utilizza superficialmente anche per indicare le mentalità, i costumi, i modelli, gli stili di vita e, purtroppo, anche le lobby. Ma sul suo significato principale, crescita, non si vedono iniziative pubbliche pensate, sapienti e strutturate. Ci si affida a intraprendenze occasionali, buone a far sentire un profumo e a mettere a posto la coscienza degli adulti. E dunque? Dunque i bambini, gli adolescenti e i ragazzi vanno nutriti, nell’eserci - zio delle loro sacrosante libertà, anche con ammortizzatori morali che suscitino un corrispondente senso di responsabilità.

Gli ammortizzatori morali sono gli elementi utili a spalmare la Bellezza sull’anima ed è da questa che scaturiscono le virtù. Tra i tanti possibili, ne descrivo uno. Sappiamo bene come l’Umanità – e la Sicilia ai primi posti – patisca per quella parola dal significato ormai soltanto negativo: potere, l’esercizio del potere. Storia vecchia, certo, ma mai come oggi degradata. Parola, potere, definibile come nome collettivo di miserie individuali. Ogni uomo ne esercita uno, di potere, piccolo o grande che sia. Dal portiere di un condominio al presidente di un’istituzione. E non è consueto vedere lealtà, equità ed armonia in quell’esercizio. Anzi, più si sale e più si notano arroganze, abusi, prevaricazioni e via via, dagli imbroglietti alla corruzione.

Certo, vi sono molte eccezioni, vi sono fior di galantuomini e individui idonei al ruolo ricoperto nella società. Lei ne è un esempio (non ne potrei, altrimenti, immaginare l’elezione a capo della Sicilia), ma il tema che pongo non è individuale, è sociale. È dare a tutti la possibilità di formarsi in armonia con il potere che la vita offrirà.

Ecco, quindi, perché Le propongo, se lo condivide, di inserire nelle scuole siciliane una nuova disciplina sperimentale, aggiuntiva: l’esercizio del potere. So che, come per ogni progetto poderoso, occorrerebbe tempo per preparare testi e docenti; so che, a tal fine, le Università siciliane darebbero volentieri i loro migliori contributi. Ma so anche che ogni uomo che dalla quarta elementare sino al diploma dei diciott’anni venisse arricchito di questo ammortizzatore morale, sarebbe un siciliano migliore, persino esemplare. In fondo anche questo sarebbe volano di sviluppo e di redditizia economia. Sarebbe un elemento di nuova civiltà che potrebbe richiamare l’attenzione di chi non si reca da tempo a votare. E a Lei che sa discernere tra le utopie e le iniziative coraggiose, aggiungo, con una briciola di pudore e ringraziandoLa per l’attenzione prestatami, che sarebbe un po’ anche un elemento di felicità.

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