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Terremoto in Messico, 30 volte meno violento del precedente

Il terremoto di magnitudo 7.1 che ieri ha scosso il Messico è stato 30 volte meno violento rispetto al precedente, di magnitudo 8.1, avvenuto lo scorso 8 settembre. I due eventi sono avvenuti sulla stessa placca, ma è difficile dire se siano legati da un rapporto di causa-effetto. A rilevarlo sono gli esperti dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv).

"Il terremoto del 19 settembre - spiega il presidente Ingv, Carlo Doglioni - è stato 30 volte meno energetico del precedente: ha avuto una rottura su un piano che ha mosso un'area più ridotta, pari a circa 1.000 chilometri quadrati. Però fa parte dello stesso sistema di deformazione: è dovuto al movimento del Centro America, che si sta spostando sopra l'Oceano Pacifico di 7-8 centimetri all'anno. Questo fenomeno di subduzione è legato anche al magmatismo, tanto che ieri si è attivata anche un'eruzione di un vulcano lì vicino", chiamato Popocatépetl, ripreso da molti video pubblicati sui social.

Il sisma del 19 settembre è avvenuto a "una profondità elevata, che stimiamo al di sotto dei 50 chilometri", sottolinea il sismologo Alessandro Amato dell'Ingv. "Questa è un'evenienza piuttosto rara: l'ultimo precedente in Messico risale agli anni '90".

Resta difficile dire se ci sia un legame di causa-effetto tra la scossa del 19 settembre e quella dell'8 settembre. "Interessano la stessa placca e sono figlie della stessa dinamica - precisa Amato - ma sono molto distanti nello spazio e nel tempo: non c'è stato un effetto diretto", ma per escludere un eventuale rapporto bisognerebbe "capire quale possa essere il processo di trasferimento dello sforzo dopo un terremoto grande come quello dell'8 settembre".

Un vero e proprio enigma, simile a quello che i sismologi avevano già dovuto affrontare dopo le due scosse che hanno colpito il centro Italia a due mesi di distanza l'una dall'altra, tra agosto e ottobre 2016. "In quel caso però - conclude Amato - si era attivato lo stesso sistema di faglia, mentre in Messico abbiamo distanze maggiori".

Un terremoto forse accelerato dal precedente

Il terremoto di magnitudo 8.1 che ha colpito il Messico lo scorso 8 settembre potrebbe aver accelerato i tempi per la seconda scossa di magnitudo 7.1 avvenuta il 19 settembre, agendo come il 'grilletto' che permette di sparare un colpo già in canna: a ipotizzarlo è il sismologo Antonio Piersanti, dell'Ingv.
"Questi terremoti - spiega l'esperto - sono avvenuti a centinaia di chilometri di distanza, ma sono temporalmente molto vicini e sono entrambi molto energetici: è dunque possibile che l'energia rilasciata dal primo terremoto abbia in qualche modo influenzato lo stato di stress nella zona di rottura del secondo terremoto, anticipandone l'avvenimento".
Questo 'effetto trigger', che andrà verificato con ulteriori ricerche, potrebbe spiegare perché entrambi i terremoti sono avvenuti all'interno della placca oceanica di Cocos, ai margini della zona di subduzione in cui la crosta terrestre più antica scivola al di sotto di quella più recente. "In queste zone di subduzione si ha solitamente una sismicità di tipo compressivo, con i due lati della faglia che premono uno contro l'altro. I due terremoti messicani - sottolinea Piersanti - sono invece di tipo distensivo, con le due facce della faglia che si allontanano, e si sono manifestati con una magnitudo molto elevata: la scossa dell'8 settembre, ad esempio, è stata classificata tra i più grandi terremoti distensivi del mondo. Studiarne le caratteristiche potrà esserci molto utile, perché il meccanismo distensivo è ancora poco conosciuto ed è anche alla base della maggior parte dei grandi terremoti italiani".

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