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La corsa a Palazzo d’Orleans,
se i programmi sono dettagli

Un candidato certo (forse) per l’area di centrosinistra, anche se Micari preferisce sbandierare una sorta di genesi civica della sua disponibilità a scendere nell’agone elettorale.

Un candidato, forse due, forse perfino tre (Musumeci? Armao? Lagalla?), per l’area di centrodestra, dove l’elastico si allunga, si accorcia e si sfilaccia ogni volta che si cerca la quadratura del cerchio fra anime distanti più per fini utilitaristici che ideologici.

Un candidato, anzi due, anzi tre (Navarra, Fava, Mineo) per l’area di sinistra che nel giro di 24 ore ha invertito la rotta non appena ha subodorato convergenze che ne minassero la verginità politica. Un presidente uscente, Crocetta, che continua ad adombrare una sua candidatura bis, ignorato ormai da tutti gli (ex?) alleati. Una mezza dozzina di altri nomi sparsi, più o meno autoreferenziati, che provano a sgomitare cercando visibilità e magari qualche speculare gioco di sponda. Un solo candidato già in campagna elettorale, Cancelleri per i grillini, i quali però – pur essendo partiti in netto anticipo rispetto agli altri - continuano a limitarsi a buttarla sull’antipolitica e sull’ultrainflazionato slogan dei tagli a stipendi e vitalizi senza ancora partorire una reale idea nuova di governo. Perché di governare la più estesa, controversa, martoriata e complicata delle regioni italiane (nonché la quarta per numero di abitanti) stiamo pur sempre parlando.

Non proprio una bazzecola. Eppure, ad appena 68 giorni dall’apertura delle urne, siamo ancora in pieno sconclusionato valzer delle candidature. Con scelte ancora da delineare, equilibri da definire, accordi in alto mare, questioni di principio, ripicche, vendette, primazie presunte, incertezze reali. E, naturalmente, neanche lo straccio di un serio, reale, concreto e sostenibile programma di governo.

Del resto, chi dovrebbe buttarlo giù? I candidati impegnati solo a cercare disperatamente sostegni? I partiti che sgomitano affannosamente a caccia di posti in prima fila? Realtà più o meno laiche politicamente il cui unico obiettivo è “rompere” il Sistema invece di curarlo? Conosciamo le logiche elettorali e sappiamo che i programmi hanno un appeal ridotto e poco strategico nella tortuosa via verso le urne, di certo inferiore a quello di appartenenze, vicinanze e – dobbiamo negarlo? – clientele. Ci limitiamo però a ricordare e ribadire lo stato delle cose in una Sicilia in cui, come scriveva lo scorso 25 agosto su questo giornale Lelio Cusimano, il reddito pro capite è superiore solo a quello della Calabria; in cui la ricchezza prodotta è crollata di quasi 15 punti; in cui negli anni della crisi hanno chiuso 53 mila imprese, si sono persi 112 mila posti di lavoro (nelle sole imprese) e il fatturato ha perso qualcosa come 25 miliardi di euro.

Il tutto mentre in Campania - non proprio l’operoso Nord - lo scorso anno sono stati creati 60 mila posti di lavoro e alle nostre latitudini ne abbiamo persi 13 mila fra agricoltura, industria ed edilizia, guadagnandone appena 12 mila nel commercio. Dobbiamo ancora a lungo crogiolarci con le candidature?

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