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Marche svelano gioiello rosso, Lacrima di Morro d'Alba Doc

 E' un'isola enologica tutta da scoprire, con molti giovani imprenditori e aziende a conduzione familiare, quella del Lacrima di Morro d'Alba Doc, vino rosso delle Marche dai sentori di rosa prodotto in oltre 250 ettari da 54 viticoltori, perlopiù mini aziende vitivinicole delle quali appena 24 quelle che superano le 5mila bottiglie l'anno, e qualche big come Marotti Campi, solido Tre Bicchieri per il Rubico e uno dei motori dell'internazionalizzazione del Vigneto Marche.

La produzione totale è di circa 900mila bottiglie di questo "rosso esperienziale" come ha sottolineato l'azienda Conti di Buscareto in un incontro promosso dall'Istituto Marchigiano di Tutela Vini (Imt) che ha coinvolto 15 produttori di Lacrima di Morro d'Alba e Verdicchio dei Castelli di Jesi. Un vino, ha ricordato Valentina Vicari, citato da Dante nel Purgatorio e storicamente presente sulla tavola dei Papi, e oggi motore di enoturismo, con banchi di assaggio già in allestimento per il Lacrima Wine Days, l'8 e 9 luglio nel borgo storico di Morro d'Alba.

"Abbiamo pensato di affiancare il re degli autoctoni marchigiani, il pluripremiato dalle guide Verdicchio dei Castelli di Jesi con un vino identitario - ha detto il direttore del maxi consorzio Imt Alberto Mazzoni - in grande crescita sul piano qualitativo. Il Lacrima di Morro d'Alba è oggi maturo per mostrare le proprio doti sia in termini di longevità che di duttilità delle produzioni che spaziano dai grandi rossi, ai passiti sia dolci che secchi fino alle distillazioni in grappa e spumanti. Il distretto testimonia inoltre un buon ricambio generazionale, anche grazie al fatto che le Marche sono la seconda regione d'Italia per sostegno a giovani imprenditori in agricoltura". Nella sede Imt a Jesi una due giorni di maxi degustazioni di 30 etichette di Lacrima di Morro d'Alba e 14 Verdicchio.

"Si chiama Lacrima - osserva il produttore dell'Azienda San Marcello, cantina ed agriturismo ad impatto zero, - perché ci fa soffrire in vigna e in cantina. Ma noi stiamo condividendo know how e attività di promozione convinti che se si fa squadra uniti si è più forti". Per domare il Lacrima "bisogna essere bravi - gli fa eco Paolo Lucchetti, 34 anni - perché è un'uva che tende a ossidarsi, ma ha una grande forza nella sua tipicità che noi preserviamo senza utilizzare ghiaccio secco nella raccolta a mano. Ne otteniamo un vino che esce da ogni cliché".

"Noi imbottigliamo solo mosto fiore - sottolinea Stefano Balducci di Poteri Santa Lucia - per preservare carattere, senza utilizzo di legno o correttivi". "Andiamo fieri di questo vino - ha detto Samuele Ronconi di Badiali e Candelaresi - perché è così, e per rispettare questo autoctono marchigiano gli facciamo fare meno passaggi in legno possibile". Molti tra questi produttori stanno voltando le spalle al sughero per adottare chiusure tecnico che non danno rischi sui vini da invecchiamento. Originale e rock la scelta di Stefano Mancinelli, che ha scelto un tappo a corona, come quello delle birre, ma in argento con tanto di incisione di un artigiano aretino.

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