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Elisabetta Iannelli, col cancro si convive e ne sono la prova

Ho ricevuto la diagnosi di cancro al seno ormai 24 anni fa, la metà di quelli che ho oggi. Posso dire che, da adesso in poi, sono più gli anni vissuti dopo il manifestarsi del tumore che quelli vissuti prima. La mia condizione è quello che si definisce una 'malattia cronica', cosa cui non è facile convivere. Ma in questi anni ho superato non solo un tumore, bensì anche una serie di metastasi diffuse, cosa che fino a poco tempo fa sarebbe stato impossibile. Ad oggi vivo intensamente concentrandomi soprattutto su lavoro e famiglia, e dedico anche parte del mio tempo e delle mie competenze giuridiche per aiutare i malati oncologici. E, se sono qui, è anche perché ho beneficiato della possibilità di accedere tempestivamente a una terapia a base di anticorpi monoclonali che ha cambiato la storia della mia malattia.
    Nel 1993, ero una studentessa in giurisprudenza e stavo per sposarmi, quando mi venne diagnosticato un carcinoma mammario metastatico. Ho subito una quadrantectomia con radio e chemioterapia. Ma dopo 7 anni, nel 2000, la malattia torna, e torna in modo molto aggressivo, con una metastasi: ovvero il tumore si era diffuso in diverse parti del corpo come polmoni e fegato. Lo scopro sentendo i linfonodi del collo ingrossati. A salvarmi la vita è stato anche il trastuzumab, che proprio in quel periodo era disponibile in Italia come cura compassionevole, ovvero dispensato in attesa dell'autorizzazione ufficiale. Si tratta di un anticorpo monoclonale utilizzato per combattere il carcinoma mammario avanzato e la sua caratteristica è che si lega specificamente alle cellule bersaglio Her2+. Ma questa vera e propria rivoluzione terapeutica stentava, allora, ad entrare nel nostro Paese.
    Il 2000 è stato l'anno che ha segnato il momento più critico di tutta la mia malattia. Ma anche l'anno in cui sono ripartita con più grinta di prima e desiderio di dare un significato a questa sofferenza. Navigando su internet mi imbatto sull'Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC), che contatto per avere informazioni, per il bisogno di confrontarmi con qualcuno. Così inizio a conoscere il mondo del volontariato oncologico. E capisco che, come giurista, potrei apportare un contributo significativo per aiutare a far arrivare informazioni ai malati oncologici. Nasce così una collaborazione che diventa passione e che mi porta a mettermi sempre più in gioco in prima persona. Oggi ho una figlia di 10 anni, lavoro come avvocato e dedico la metà del mio tempo a collaborare con la Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (AVO), per cui seguo gli aspetti giuridico legali e tutto quello che a che vedere con i diritti dei malati oncologici. Nel frattempo di Aimac sono diventata vicepresidente e di vittorie, insieme al fondatore dell'associazione, Francesco De Lorenzo, ne abbiamo avute molte. Tra i nostri successi, l'approvazione da parte del Parlamento, di un legge che consente ai malati di cancro che lavorano nel settore privato e pubblico, di passare dal tempo pieno al part-time durante la terapia, e tornare poi al tempo pieno, in base alle loro condizioni di salute. Tra le nostre battaglie, la riduzione dei tempi di accesso ai farmaci oncologici in Italia, un tema di cui ho sperimentato in prima persona l'importanza. Un farmaco che ha ottenuto validazione scientifica a livello europeo, subisce un ritardo burocratico, che in alcune regioni arriva a oltre 2 anni prima di arrivare al malato: una differenza di tempo inaccettabile che spesso è una discriminante tra la vita e la morte. A partire da questo, con il contributo dell'Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM) abbiamo fatto studi, petizioni, convegni, confronti con politici. Tra le tante soddisfazioni che questi anni di 'vita extra' mi hanno offerto, l'esser stata nominata, dall'American Cancer Society Global, Cancer Ambassador per l'Italia per l'Assemblea Generale delle Nazioni sulle malattie non trasmissibili che si è tenuta a New York nel 20111.
    Oggi sono in una fase che definisco di 'maturità oncologica'.
    Col cancro si può convivere e io ne sono la prova. Pasticche tutti i giorni, farmaco per endovena una volta al mese, un catetere venoso centrale che ormai ho impiantato fisso da 17 anni: la cronicità della malattia toglie spensieratezza e quasi non ricordo più come fosse la vita senza. Ma poi penso a tutto quello che è successo in questi anni e che ho rischiato di non vivere. Per questo, nonostante la stanchezza fisica con cui inevitabilmente combatto, continuo a impegnarmi ogni giorno per far sì che la società capisca che chi ha avuto un cancro ha diritto di vivere dignitosamente e intensamente la propria vita.
    E che il futuro, dopo il cancro, è pieno di vita!
   

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