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Il prete di Palermo ucciso in Giappone, via al processo per renderlo beato

PALERMO. Per essere riuscito a convertire i due anziani che lo assistevano, fu accusato dagli Shungun e condannato ad essere seppellito in una fossa, con una sola ciotola di riso a settimana: il missionario palermitano Giovanni Battista Sidotti (o Sidoti) morì in appena sei mesi, e con lui si spensero per la fame anche Chosuke e Haru, la coppia appena battezzata. Oggi si chiede la sua beatificazione.

Siamo in pieno periodo Edo e Sidotti entra illegalmente in Giappone travestito da samurai, per predicare il Cristianesimo. Scoperto, fu arrestato e seppellito vivo.

Era il 1714, a distanza di oltre trecento anni, sembra ritornare in vita con forza: alla fine dell’anno scorso, infatti, la società di costruzioni Daiho, per conto di Mitsubishi Jisho Rejidensu, decide di spianare una collinetta sopra Myogadani, a poca distanza dal centro di Tokyo, per costruire l’ennesimo grattacielo. Qui si vive ancora la vita dei quartieri, viuzze strette, obanzai e una tazzina di saké: un grattacielo sembra piovere dal cielo come un’astronave. Ma la Mitsubishi ha comprato il terreno, quindi via ai lavori: ai primi scavi vengono alla luce due cippi e un’iscrizione che ricorda che qui era la Kirishitan Yashiki, la prigione dei cristiani; e che tra i suoi ospiti ci fu Giovanni Battista Sidotti, l’ultimo missionario giunto in Giappone.

Le notizie si rincorrono e se ne inizia a parlare, ma i lavori non si fermano: ci vorrà il ritrovamento di resti umani per bloccare il cantiere. Analizzati e messi a confronto con il Dna dei parenti, i resti confermano, qui fu sepolto il missionario. Per il quale oggi si chiede di avviare la causa di beatificazione: ne parla un prete francescano di Rimini, padre Mario Canducci, che vive da sessant’anni in Giappone; e che ieri era in platea al Teatro Bunka Kaikan di Tokyo, per assistere alla «Tosca» del Teatro Massimo.

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