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Giancarlo Limoni, tra natura e cultura

ROMA  - Sono 25 le imponenti tele di Giancarlo Limoni che affollano gli spazi del Macro Testaccio a Roma, nella mostra antologica dal titolo I giardino del tempo, a cura di Lorenzo Canova, allestita dal 21 giugno al 17 settembre.
    Tutte di grandissimo formato, le opere realizzate tra il 1980 e il 2017 raccontano la storia pittorica di un artista che è stato tra gli indiscussi protagonisti della Nuova Scuola Romana degli anni Ottanta: nei suoi dipinti si legge l'interesse per il rapporto che lega natura e cultura, oltre all'attento e poetico lavoro svolto dall'artista sul mezzo espressivo scelto, attraverso la riflessione sul colore, la luce, la materia. Nato a Roma nel 1947, dove vive e lavora, Limoni ha esposto in numerose mostre personali e collettive, avendo un lungo sodalizio con il gallerista Fabio Sargentini, la cui galleria L'Attico ha frequentato per molto tempo. Dal 2000 ha avviato un più stretto rapporto sul piano personale, culturale e professionale con il critico d'arte Francesco Moschini. Nel percorso professionale, l'artista ha messo in relazione la sua ricerca pittorica con quella di grandi maestri come Turner, Monet, Permeke, Soutine, Mafai, De Staël e Fautrier, pur nell'approdo a uno stile fortemente personale che risente anche della lentezza poetica e meditativa del pensiero orientale con cui è entrato in contatto. Dai primi cicli di opere fino a quelle più recenti, Limoni ha indagato il rapporto tra l'aspetto materico della pittura (con l'uso di stratificazioni di stesure pittoriche e di paste cromatiche) con quello più intellettuale, aprendosi anche a riflessioni sulla letteratura e la filosofia, sempre cercando di rendere visibile agli occhi la dimensione del tempo, il suo scorrere continuo, il suo sfuggire inesorabile. Anche il titolo della mostra Il giardino del tempo (organizzata in collaborazione con le gallerie L'Attico di Fabio Sargentini e A.A.M. - Architettura Arte Moderna di Roma e l'Aratro, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell'Università degli Studi del Molise di Campobasso) riunisce il lavoro svolto negli anni, in cui alle esplosioni di colore e alla ricca sontuosità dei dipinti del passato bene si abbina anche il bianco più riflessivo delle tele recenti, in un continuo gioco di echi, significati e memorie che si rincorrono di fronte allo spettatore.
   

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