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Dalla Chiesa decreto per scomunicare corrotti e mafiosi: «Calpestano la dignità delle persone»

Città del Vaticano

CITTA' DEL VATICANO. La corruzione è un "cancro" che corrode: è questa l’espressione spesso usata da Papa Francesco per descrivere un fenomeno che rappresenta per lui uno dei mali peggiori per le società e per l’uomo. Un malcostume che «calpesta la dignità delle persone», come dice il cardinale Peter Turkson, presidente del dicastero vaticano per lo Sviluppo umano integrale che ha promosso qualche giorno fa un confronto ad altissimi livelli su questo fenomeno che devasta molti Paesi.

E allora tra i frutti di questo dibattito nasce la possibilità di dare una forma giuridica, una sorta di decreto, alla scomunica per corruzione e per mafia. Un’ipotesi ancora allo studio. Il gruppo che ha promosso il confronto sul tema "sta provvedendo all’elaborazione di un testo condiviso che guiderà i lavori successivi e le future iniziative. Tra queste, si segnala - ha fatto sapere oggi il Vaticano - la necessità di approfondire, a livello internazionale e di dottrina giuridica della Chiesa, la questione relativa alla scomunica per corruzione e associazione mafiosa».

La scomunica è la pena più grave nella Chiesa. L’antichissima fattispecie, citata già nei documenti ecclesiali del IV secolo, comporta l’allontanamento dalla comunità dei fedeli e la conseguente esclusione dai sacramenti. In passato la punizione massima ha interessato per esempio i Lefebvriani, gli ultraconservatori contrari al Concilio Vaticano II, o alcune sette religiose. Ma è scomunicato, 'latae sententiaè, cioè automaticamente, anche chi viola i segreti del conclave; oppure chi profana le ostie o attenta alla vita del Papa.

Ci sono poi peccati conclamati, dall’aborto al narcotraffico, che in passato sono stati inseriti nell’elenco. Sempre possibile chiedere perdono, confessarsi, ma ci sono diversi gradi: se, infatti, generalmente una scomunica può essere tolta dal sacerdote durante la confessione, alcune sono riservate al vescovo o, persino, alla Santa Sede, cioè alla Penitenzieria Apostolica, il competente ufficio della Curia Romana.

La corruzione è un tema che ricorre spessissimo nelle parole di Papa Francesco che ha più volte avvisato quanto sia pericolosa e come uno che corrompe sia molto più che un peccatore. «Il peccatore, se si pente, torna indietro; il corrotto, difficilmente», ha spiegato qualche mese fa in una delle omelie delle messe a Santa Marta.

Contro i mafiosi il Papa fu finanche più esplicito quando, nella visita a Cassano allo Jonio, a giugno del 2014, disse senza possibilità di fraintendimento: «Non sono in comunione con Dio, sono scomunicati». E ora gli esperti cercano una forma giuridica per tradurre, sia per le mafie che per la corruzione, tutto questo in norme. Cosicché sarà più chiaro a tutti che cosa sia conforme al Vangelo e alla appartenenza alla Chiesa e che cosa no.

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