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Lamya Tawfik, storyteller contro l'odio

(di Francesca Pierleoni) ''Un essere umano è un essere umano, siamo tutti uguali.

L'unico modo per capire l'altro è costruire ponti tra noi che ci aiutino ad andare oltre le nostre differenze. Più ci vediamo da vicino, più capiamo quanto ci assomigliamo''. Lo dice all'ANSA l'attrice, comica, giornalista, traduttrice, scrittrice, cantastorie Lamya Tawfik, egiziana che vive e lavora da anni da Dubai, in scena a Roma con due spettacoli al 7/o Festival Internazionale di Storytelling (15 - 18 giugno) prima rassegna nel nostro Paese interamente dedicata all'arte performativa della narrazione orale.

Lamya Tawfik, prima cantastorie mediorientale al Festival, dividerà prima la scena con altri narratori (Davide Bardi, Germana De Ruvo, Martina Pisciali, Michael Harvey) per 'Giufà - Chi è il più scemo e chi il più intelligente del villaggio?' su uno dei personaggi più divertenti del folklore popolare di Medio Oriente, Sud Europa e Nord Africa e poi sarà protagonista di 'Hakawati!' che presenta le storie tradizionali del Medio Oriente attraverso uno spettacolo interattivo e divertente di racconti e burattini.

''Non ci sono negli spettacoli storie religiose, ma della tradizione egiziana, e della cultura del Golfo - dice -. Sono racconti che mi fanno pensare a un vostro detto, che trovo molto vero 'tutto il mondo il Paese' - spiega in un ottimo italiano -.

I personaggi vivono emozioni, come l'amore e la speranza, la gelosia, l'ossessione, in cui tutti possiamo ritrovarci''. Da anni, nonostante le origini egiziane, ha scelto di vivere a Dubai, ''perché è una città cosmopolita, ti senti arricchita dall'incontro di culture. Vivono insieme persone di tutte le religioni, non interessa molto se sei musulmano o cristiano''.

Un'armonia rara in un momento storico nel quale ''sta diventando più complicato, a livello di controlli e burocrazia, per un musulmano, viaggiare in occidente''. L'attrice si esibisce indossando il velo: ''l'ho sempre portato in maniera originale.

In me si nasconde una fashionista - racconta sorridendo - sento sempre la necessità di esprimermi in maniera personale e colorata. Ho il velo perché è legato all'identità della mia religione, ma non è una costrizione, anzi mi fa sentire libera''. Tra i pregiudizi occidentali sul mondo musulmano, lei sente particolarmente forti quelli legate alle donne: ''C'è l'idea che siamo tutte oppresse. Non è così, in alcuni Paesi le cose stanno lentamente migliorando, e l'oppressione, dove resiste, non è tanto legata alla religione, quanto alla cultura''. Per Lamya comunque, che ha debuttato con monologhi comici nei locali, le difficoltà non sono mancate: ''c'è una resistenza generalizzata, non solo nel mondo arabo verso le donne che scelgono il terreno della comicità. Non si sa perché ma molti pensano, a torto, che le donne non facciano ridere". Ci sono, poi, argomenti tabù: ''Fai alla base un'autocensura, perché anche in una città più moderna come Dubai, sai che ci sono dei temi, delle linee rosse, che non vanno toccate, come la religione, la politica e il sesso. La cosa però non mi limita, anzi, è una sfida che mi spinge ad essere più creativa. Poi io più che su quegli argomenti, ho sempre preferito fare humour sulla vita quotidiana''. Cosa pensa di un personaggio come Trump? ''E' un 'joker', sarà sempre un mistero per me come possa essere stato eletto.

Penso che gli unici felici in America siano i comici, perché gli fornisce materiale nuovo ogni giorno, si possono sbizzarrire''.

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