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Quel grano coltivato e raccolto con fatica in Sicilia

(di Giovanni Franco)

Il duro lavoro dei campi, compiuto con le braccia degli uomini e delle donne, che tiravano gli aratri, aiutati dagli animali da tiro. Al sole e al vento, dall'alba al tramonto. Era questa la vita degli agricoltori quando, non tanto tempo fa, non era ancora stata introdotta, nel ciclo produttivo, la moderna meccanizzazione agraria. Per ricordare quei momenti la Fondazione intitolata al poeta dialettale Ignazio Buttitta e l'Associazione per la conservazione delle tradizioni popolari / Museo delle marionette A. Pasqualino, con la collaborazione della Fondazione "Sebastiano Crimi" di Galati Mamertino, del Museo Cultura e musica popolare dei Peloritani e dell'Associazione Culturale Kiklos, ha allestito la mostra fotografica "La terra fecondata. Il grano in Sicilia tra natura e cultura". Esposte una ventina di immagini, in bianco e nero, di Giangabriele Fiorentino, che documentano la ricerca etnoantropologica svolta da Mario Sarica nell'area dei Nebrodi alla fine degli anni '80.

"Il grano, nella duplice accezione di bene alimentare primario e arcaico segno rituale-simbolico, ha radici profonde nella plurimillenaria cultura agraria mediterranea. E la Sicilia, da sempre, per i popoli migranti, in gran parte da oriente, è emersa dal mare come terra promessa fertile e generosa di spighe", afferma Ignazio Buttitta, docente di storia delle tradizioni popolari dell'Università di Palermo. Granaio del Mediterraneo, la regione, ha mantenuto nei secoli, fra alterne fortune, il primato incontrastato della produzione di frumento, soprattutto quello di varietà duro, fino all'unità d'Italia. "Poi, il lento e inesorabile declino dovuto alla contrazione delle superfici coltivate, alla crisi del mercato di questo prodotto, alla persistenza del regime latifondista, di origine feudale, - osserva - che imponeva patti agrari iniqui e pratiche di lavoro arcaiche, essenzialmente riconducibili al complesso 'uomo-bestiame-aratro'. Quest'ultimo, quasi a segnalare un destino di vita naturale condiviso, ineludibile, e, dunque, un legame necessario ed equilibrato, anche se precario, fra uomo, animali e ambiente: amato, temuto, e rispettato ad un tempo".

A fare emergere dall'oblio questo patrimonio culturale, oltre lo sguardo letterario degli scrittori veristi, è giunto l'interesse ottocentesco demologico di matrice positivistica di Giuseppe Pitrè e Salvatore Salomone Marino e della loro rete di corrispondenti locali di cui hanno raccolto l'eredità, tra gli altri, Giuseppe Cocchiara e Antonino Buttitta. "Al vastissimo catalogo sull'universo di forme culturali siciliane tangibili e intangibili, - affermano gli organizzatori della mostra - si aggiunge questo nuovo originale e inedito contributo di ricerca antropologica visiva d'epoca", che ci restituisce una testimonianza di vita contadina, declinata al ciclo del grano, colta sul far della sera, ovvero collocata cronologicamente esattamente nel secondo lustro degli anni 1986-1989". La mostra fotografica proposta è un racconto breve sul ciclo del grano secondo le antiche pratiche di lavoro contadino. La sequenza fotografica narra la storia di don Salvatore Truglio, erede dell'arcaico sapere contadino, e della sua numerosa famiglia, fedele ai suoi insegnamenti di vita e di lavoro. La mostra si concluderà il 30 giugno.

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