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Bindi: "Riina? Non serve trasferirlo
In carcere le cure sono assicurate"
Polemiche dopo la sentenza

La presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi

ROMA. "Totò Riina è detenuto nel carcere di Parma dove vengono assicurate cure mediche in un centro clinico di eccellenza. E' giusto assicurare la dignità della morte anche ai criminali, anche a Riina che non ha mai dimostrato pietà per le vittime innocenti. Ma per farlo non è necessario trasferirlo altrove, men che meno agli arresti domiciliari, dove andrebbero comunque assicurate eccezionali misure di sicurezza e scongiurato il rischio di trasformare la casa di Riina in un santuario di mafia". Lo dichiara Rosy Bindi presidente della commissione parlamentare Antimafia. "Dopo terribili stragi e tanto sangue, il più feroce capo di Cosa Nostra è stato assicurato alla giustizia e condannato all'ergastolo - aggiunge Bindi - anche se vecchio e malato, la risposta dello Stato non può essere la sospensione della pena" e conclude "leggeremo con attenzione le motivazioni della Cassazione".

Critici contro la sentenza i familiari delle vittime di mafia: "Il pronunciamento della Cassazione sulla richiesta di Riina di andare a morire ai domiciliari ci lascia a dir poco basiti. Aspettiamo fiduciosi il pronunciamento del tribunale di sorveglianza di Bologna, un giudice ci sarà pure in questo Paese. Dopo di che per non essere presi in contropiede cominciamo a preparare gli striscioni". Lo scrive in un comunicato Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, secondo cui "dignità, umanità, invocate dalla Corte di Cassazione per il macellaio di via dei Georgofili possono essere esercitate tranquillamente all'infermeria del carcere o in un ospedale attrezzato per il 41 bis". "L'espressione usata 'diritto ad una morte dignitosa' la ritorniamo al mittente - commenta - Si può morire dignitosamente ovunque nelle mani di uno Stato, tranne in via dei Georgofili come è avvenuto il 27 maggio 1993 per Dario, Nadia, Caterina, Angela, Fabrizio e quanti ancora oggi spesso non possono condurre la vita che gli resta dignitosamente".

"Penso che mio padre una morte dignitosa non l'ha avuta, l'hanno ammazzato lasciando lui, la moglie e Domenico Russo in macchina senza neanche un lenzuolo per coprirli. Quindi di dignitoso, purtroppo, nella morte di mio padre non c'è stato niente". Così Rita Dalla Chiesa commenta al Tg4 la sentenza della Cassazione. "Sto insegnando a mio nipote ad avere fiducia nella giustizia e nella legalità - continua la figlia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso dall'ex capo di Cosa Nostra - lo porto sempre in mezzo ai carabinieri. Portandolo in mezzo ai carabinieri faccio quello che avrebbe fatto mio padre. Per quanto riguarda invece la fiducia nella giustizia, forse sto sbagliando tutto, sto sbagliando tutto".

"Verrebbe da chiedersi se i giudici della Corte di Cassazione considerino Totò Riina un detenuto diverso dagli altri alla luce di quanto da loro affermato". Lo afferma Sonia Alfano, di Articolo 1 - Mdp. "Tanti altri detenuti sono morti nelle carceri italiane durante il loro periodo di detenzione - aggiunge -, eppure i togati di Cassazione non si sono pronunciati in alcun modo a loro difesa, e di sicuro non avevano sulle spalle un numero infinito di efferati e tragici delitti compiuti ed ordinati come quelli a carico di Riina. Vorrei peraltro ricordare agli stessi giudici che uomini e donne, servitori di questo Paese, sono stati fatti trucidare da questa belva che non hai mai accennato ad alcun segnale di pentimento".

Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, invece commenta: "C'è una persona malata, al quale lo Stato deve riservare un adeguato trattamento terapeutico a prescindere dai crimini commessi e dalla presenza o meno - che in questo caso non c'è stata - di una presa di coscienza, di un percorso di ravvedimento e di conversione. Ma c'è anche una vicenda di violenza, di stragi e di sangue che ha causato tante vittime e il dolore insanabile dei loro famigliari".  Secondo il sacerdote "il diritto a morire dignitosamente vale per ogni persona detenuta in accordo a quella più ampia umanizzazione della pena che contrassegna la civiltà di un Paese, come ci ricorda la Costituzione". Secondo don Ciotti "non fa eccezione Toto Riina, al quale è giusto assicurare tutte le cure necessarie in carcere e, se occorre, in ospedale, affinché la detenzione non aggravi le sue condizioni di salute".
"In attesa di leggere le motivazioni della pronuncia della Cassazione, quella su Riina è una sentenza molto importante poiché pone il tema della dignità umana e di come essa vada preservata anche per chi ha compiuto i reati più gravi e, di conseguenza, come la pena carceraria non possa e non debba mai trasformarsi in una sofferenza atroce e irreversibile". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone. "Ancora oggi - prosegue Gonnella - ci sono detenuti che da circa 25 anni sono continuativamente sottoposti al regime duro di vita penitenziaria disciplinato dall'art 41 bis 2° comma dell'ordinamento penitenziario. Alcuni di loro versano in condizioni di salute gravissime tali da non poter costituire mai un pericolo all'esterno".

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