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A Cannes arriva la leggenda: tutti in piedi per Clint Eastwood

CANNES. A 87 anni si sa che ormai è una leggenda che cammina, proprio come quei giganti del vecchio west a cui si richiama nel suo film «Gli spietati», forse il più amato, certo quello che lo ha consacrato nel pantheon del cinema a fianco dei suoi modelli, da John Ford a Howard Hawks, da John Huston a Sergio Leone.

E per una leggenda simile l’intera sala Debussy del Festival si è alzata in piedi, facendogli ala al passaggio mentre, nell’attesa, un improvvisato coro di fischietti, più o meno intonati, lo sollecitava ad entrare sulle note di «Il buono, il brutto, il cattivo». sala che poi è stata evacuata per un allarme sicurezza poco dopo che Eastwood era uscito.

L’arrivo di Clint Eastwood a Cannes, per benedire la versione restaurata de «Gli spietati» che ritorna al cinema e in home video a partire da giugno, in contemporanea col suo compleanno (31 maggio), diventa subito l’evento del giorno e oscura la fresca gloria dei cineasti in concorso e delle starlettes da Tappeto Rosso.

Come ricorda il direttore Thierry Fremaux, qui Eastwood è stato in concorso, ha presieduto la giuria, è venuto da ospite d’onore e in terra di Francia - che definisce «ormai la mia seconda patria» - ha ricevuto la Legion d’onore.

«Dalla strage del Bataclan - ricorda Fremaux - mi ha detto che la mostra spesso, sempre quando sbarca a Parigi».

Asciutto, in splendida forma e formale completo scuro, il maestro sale agilmente le scale del palcoscenico salutato da un duplice e lunghissimo applauso.

«Quando ho avuto in mano la sceneggiatura di questo film mi sono detto - racconta - che sarebbe stato il mio ultimo western. E così è stato in questi 25 anni che mi sembrano appena ieri. A ripensarci mi pare un film che ho fatto appena cinque anni fa. Sarà l’ultimo? Chi lo sa non si può mai dire».

Accompagnato a Cannes da tutto lo stato maggiore della Warner Bros (il suo studio di sempre, quello in cui ha anche gli uffici della sua produzione Malpaso), Eastwood ringrazia il festival sottolineando l’importanza che l'anniversario del film coincida con il 70esimo compleanno della kermesse, ma poi - fedele al suo cliché di riservatezza - si limita a invitare il pubblico a sedersi per vedere e rivedere il film.

«In effetti non ama guardarsi sullo schermo - ricorda Fremaux - ma questa volta ha fatto un’eccezione e siederà in sala così che tutti un giorno possano dire: sono stato al cinema con Eastwood».

A vedere lo splendido restauro digitale della pellicola che ha ritrovato la freschezza dei colori e la profondità delle zone d’ombra, l’occasione non è sprecata: il film fa giustizia di molti luoghi comuni sul suo personaggio, a torto spesso definito misogino, conservatore, perfino fascista. Invece il suo William Munny è uno pistolero stanco che per anni ha espiato gli orrori e i delitti di gioventù, ritorna sulla pista della vendetta per un senso di giustizia nei confronti di una prostituta sfregiata, si batte controvoglia e contro il suo stesso passato. Il tema del film è del resto il rimorso che non abbandona nessuno dei protagonisti anche quando decidono di farse giustizia da soli.

Un rimorso che alla fine li rende più fragili di quanto credono, generando lutti e morte. Munny sopravvive ma l’ombra lunga del dolore non lo lascerà più. Quattro Oscar, per quanto conti il premio di Hollywood, iscrivono «Gli spietati» tra i capolavori di tutti i tempi. E domani Eastwood promette di replicare, con una lezione di cinema che nessuno vorrebbe perdere.

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