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Siria, incontro tra Usa e Russia: "Rapporti peggiorati"

MOSCA. «I rapporti non sono idilliaci, ma da oggi ci capiamo meglio». Il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, vecchia volpe della diplomazia internazionale, riassume così la maratone negoziale che lo ha visto impegnato con il segretario di Stato Usa Rex Tillerson, al debutto a Mosca nel suo ruolo. Non era scontato, visto com'era partita la giornata, con Donald Trump che aveva dato «dell’animale» al presidente siriano Assad e accusato Putin di sostenere «il diavolo": non proprio un ramoscello d’ulivo per mettere a proprio agio le delegazioni. Passi avanti, dunque. Ma le divergenze restano.

Certo, Vladimir Putin alla fine ha sciolto la riserva e ha ricevuto al Cremlino Tillerson, con cui peraltro ha sempre avuto un rapporto cordiale, se non di amicizia, nato quando l'americano dirigeva la ExxonMobil. «Non sono state ore passate invano», ha sottolineato Lavrov, che pure era al Cremlino. Mosca infatti ha registrato la volontà degli Usa di sostenere un’indagine dell’Onu in Siria per capire cosa è successo davvero a Idlib, se davvero Assad ha usato le armi chimiche contro il suo popolo. Per Tillerson, lo ha fatto d’altra parte «in oltre 50 occasioni». Ma è su questo punto che si registra la differenza maggiore. Lavrov ha letteralmente rubato la parola a Tillerson per mettere i puntini sulle 'ì: «Noi vogliamo scoprire la verità e se i nostri partner all’Onu e all’Aja si opporranno all’indagine, vuol dire che sono loro a non volerla».
Il nodo è sempre lui: Assad. Mosca giura che non punta né su di lui né su di «nessun altro» ma che, mentre con Assad c'è la possibilità di battere l’Isis, senza probabilmente no. Tillerson ha ribadito di volere una Siria stabile, non «un porto franco per i terroristi», ma che Assad se ne deve andare, non può governare il Paese, anche se la sua dipartita deve avvenire «in modo organizzato», a tempo debito. E si riparte dal punto di partenza. Che fare?

«Assad - ha tuonato il presidente Usa dal tubo catodico dell’amica Fox - è una persona diabolica e se Putin non fosse intervenuto ora non avremmo questi problemi». Una posizione muscolare che Trump sfoggia ormai da giorni e che contraddice quanto lasciato intendere prima dell’attacco chimico di Idlib. Ma, per l’appunto, le immagini dei bimbi morenti a Khan Sheikhoun lo hanno spinto a «colpire duro» il regime siriano. Putin però non è stato da meno e ha detto senza peli sulla lingua che da quando 'The Donald’è arrivato alla Casa Bianca i rapporti con Washington non sono certo migliorati, «anzi con ogni probabilità sono peggiorati». Come dire che si stava meglio quando c'era Barack Obama. Ed è tutto dire.

Uno scontro che, dopo cinque ore di colloqui Lavrov-Tillerson e due ulteriori alla presenza di Putin, si è in qualche modo mitigato, con Lavrov che ha accusato l’amministrazione Obama di aver lasciato in eredità non problemi ma «mine vaganti». E ora Mosca e Washington sono costrette a rimboccarsi le maniche. «I nostri rapporti sono ai minimi e questo non è tollerabile per due potenze nucleari», ha sottolineato Tillerson.

I dossier sul tavolo d’altra parte sono troppi. Oltre alla Siria c'è l’Ucraina, la Corea del Nord - la penisola va denuclearizzata - e persino le minacce che provengono dal cyberspazio. «La Russia è aperta non solo al dialogo ma alle azioni comuni con gli Usa», ha ribadito Lavrov.
Al di là delle dichiarazioni, però, restano delle linee rosse. La Russia ad esempio ritiene «vitale» evitare altri attacchi americani in Siria e ha posto il veto, considerandola "inaccettabile», sulla nuova bozza di risoluzione Onu approntata da Gran Bretagna, Francia e Usa. A rimuovere i dittatori - è l'analisi di Lavrov, molto simile a quella sbandierata più volte dallo 'zar' - non finisce mai bene, non «fila mai liscio».  Il prossimo round sarà al G20 tedesco, dove Putin e Trump dovrebbero finalmente incontrarsi. E fuori i secondi.

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