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Dazi Usa, Trump firma i decreti: "Siamo in guerra commerciale"

NEW YORK. "Siamo in guerra". Una guerra commerciale senza esclusione di colpi che l'America dichiara non solo all'Europa, minacciando 'superdazi', ma a tutti gli altri principali partner: dalla Cina al Giappone, dal Messico alla Corea del Sud.

Le parole del ministro del Commercio Wilbur Ross sono dure, e anticipano di poche ore l'offensiva senza precedenti lanciata da Donald Trump, con la firma di due decreti esecutivi che intendono porre fine a quelli che il presidente americano definisce "abusi" perpetrati nei confronti degli Usa.

"Il mio messaggio è chiaro: da oggi in poi chi viola le regole deve sapere che subirà le conseguenze": cosi' Donald Trump in occasione della firma dei due decreti contro gli abusi commerciali.

"Con me finirà l'era in cui c'è chi ruba la prosperità dell'America con le politiche commerciali", ha aggiunto il presidente americano durante la firma dei provvedimenti nello Studio Ovale della Casa Bianca. Al suo fianco il segretario al commercio Wilbur Ross e il vicepresidente Mike Pence.

In Europa cresce la preoccupazione per la minaccia di imporre 'tariffe punitive' su alcuni prodotti-simbolo dei Paesi Ue, comprese alcune icone del 'made in Italy' come la Vespa. "Una guerra commerciale non farebbe bene a nessuno", ammonisce il ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda.

Mentre per il premier Paolo Gentiloni, che a maggio ospiterà il G7 a Taormina, è più che mai necessario aprire di più le economie: "Nessuna ambiguità. Bisogna scommettere ancora sul libero mercato e la libertà di commercio, il più grande motore di crescita della storia", afferma il presidente del Consiglio al 'B7 Business Summit'.

La Casa Bianca ritiene invece che i 500 miliardi di dollari di deficit commerciale statunitense - di cui oltre 340 miliardi con la Cina - sarebbero il risultato della debolezza nei confronti delle altre potenze esportatrici, che Trump attribuisce alle politiche di libero scambio dei suoi predecessori, in primis Barack Obama. Politiche che penalizzano le imprese e i posti di lavoro americani.

Il tycoon ha ripetuto questo concetto ossessivamente durante la campagna elettorale, e ora ha deciso di passare dalle parole ai fatti. Di tradurre in azioni concrete quella promessa di nazionalismo economico, di protezionismo sintetizzata nello slogan 'America First'.

"Gli Stati Uniti non si inchineranno più al resto del mondo sul fronte del commercio", ha affermato il 'superfalco' Ross, scelto da Trump proprio per la sua linea dura soprattutto nei confronti della Cina. E fautore della costruzione di 'muri' fatti di dazi e tariffe per proteggere il 'made in Usa'.

"Siamo da anni in una guerra commerciale - ha spiegato Ross - ma adesso la differenza è che le nostre truppe alzeranno i bastioni. Perché gli Usa non si ritrovano in deficit commerciale per caso. E la Cina, senza il suo enorme surplus commerciale, non sarebbe mai potuta crescere ai tassi con cui è cresciuta la sua economia".

Affermazioni pesanti a pochi giorni dalla visita negli Usa del leader di Pechino Xi Jinping, per il suo primo incontro con Donald Trump. Un faccia a faccia che si svolgerà in Florida e che si preannuncia non meno teso di quello avuto pochi giorni fa alla Casa Bianca con la cancelliera tedesca Angela Merkel.

Lo stesso Trump in un tweet non nasconde come l'appuntamento della prossima settimana con Xi "sarà molto difficile": "Perché non possiamo avere un massiccio deficit commerciale e una perdita di posti di lavoro", lamenta il tycoon. E la decisione di varare la stretta poco prima la visita del presidente cinese non è casuale.

Il primo decreto prevede un'indagine su larga scala per individuare le cause del deficit commerciale Usa e ogni forma di abuso e di pratica non reciproca. Entro 90 giorni è atteso sulla scrivania dello Studio Ovale un rapporto che inquadri la situazione paese per paese, prodotto per prodotto. Il secondo provvedimento prevede una stretta sul fronte delle misure antidumping per combattere la concorrenza sleale e colpire i governi stranieri che sostengono con sussidi i propri prodotti, così che questi possano essere venduti in America ad un costo più basso.

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