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È il giorno della Brexit, la May ha firmato
La Scozia sfida Londra: altro referendum

LONDRA. La premier britannica Theresa May ha firmato la lettera per la notifica dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona che, nel momento della consegna al presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, segnerà l'avvio formale dell'iter della Brexit, il divorzio di Londra dall'Ue sancito dal referendum del 23 giugno scorso. La lettera - poche cartelle - sarà consegnata alle 13,30 a Tusk dall'ambasciatore del Regno Unito a Bruxelles. E farà scattare i due anni di negoziati previsti per il divorzio.

A nove mesi e sei giorni dal referendum del 23 giugno, arriva il B-day "uno dei momenti più importanti nella recente storia del Regno Unito", ha sostenuto l'inquilina di Downing Street. "Dobbiamo cogliere questa storica opportunità per emergere nel mondo e plasmare un sempre maggiore ruolo per una Gran Bretagna globale", ha aggiunto la premier sposando la retorica dei 'Brexiteers'.

Ma la Scozia non ci sta e la lettera di oggi rischia di diventare "storica" anche per l'avvio della dissoluzione del Regno, formalmente Unito dal 1707. Mentre si moltiplicano le preoccupazioni a Londra e tra i 27 (anche oggi più che mai divisi sull'immigrazione), il parlamento scozzese ha risposto alle parole della May approvando per 69-59 la proposta della first minister Nicola Sturgeon, di avere un secondo referendum per l'indipendenza della Scozia dopo quello perso nel 2014.

A giugno la Scozia aveva detto largamente 'no' alla Brexit. Oggi la leader del partito indipendentista Snp ha annunciato battaglia per restare (o rientrare da paese indipendente) nella Ue: un rifiuto di Londra al voto-bis sarebbe "insostenibile", ha affermato martellando che "il voto di oggi (ieri, ndr) deve essere rispettato" ed anticipando che a giorni partirà la richiesta formale. Da Bruxelles la Commissione intanto è tornata a ribadire che la Ue ed il suo capo negoziatore Michel Barnier sono "pronti" al negoziato e che "dopo Roma non c'è ragione per essere preoccupati sul futuro della Ue".

Ma la trattativa si presenta comunque difficilissima. Perché mentre May insiste che l'obiettivo è quello di costruire una "relazione profonda e speciale", crescono i segnali che potrebbe precipitare in una 'hard Brexit', l'uscita senza accordo. Il sindaco della Londra che aveva votato per il 'sì', il popolarissimo Sadiq Khan europeista successore di Boris Johnson, da Bruxelles ha lanciato il messaggio d'amore per la Ue ("Londra è e resterà aperta all'Europa e alla Ue") ma ha anche messo in guardia contro la tentazione di "punire" il Regno Unito nella logica del 'colpire uno per educarne cento' che traspare ad esempio dalle parole del capogruppo del Ppe, il tedesco Manfred Weber.

"Per la Gran Bretagna sarà molto costoso lasciare la Ue", ha detto l'esponente della Csu, il partito cristiano-democratico bavarese 'gemello' della Cdu di Angela Merkel. Khan ha anche avvertito che gli europei non si devono fare illusioni. Se scatterà il fuggi-fuggi dei banchieri dalla City per la Brexit disordinata, a beneficiarne - ha sostenuto - non saranno "Parigi, Francoforte, Madrid o Dublino" ma "New York, Singapore e Hong Kong". Una situazione "perdente per tutti" ha sottolineato lanciando però anche l'appello perché Downing Street mandi "un giusto segnale di buona volontà" garantendo sin nella lettera di domani i diritti degli europei nel Regno.

Lo spettro, come rilevato dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, è quello di uno stallo nella trattativa che metterebbe "a rischio la stabilità dei mercati finanziari". Il nodo principale è quello dell'accesso al mercato unico. Sul quale gli europei sono stati finora compatti: impossibile concederlo se Londra non accetta le "4 libertà indivisibili', che comprendono quella di circolazione dei lavoratori, rigettata dal referendum. Ma poi c'è la questione del "conto" che Londra dovrebbe pagare per saldare tutti gli impegni presi nel bilancio pluriennale della Ue fino al 2020, per programmi che si concluderanno nel 2023.

Una stima ufficiosa è di 58-60 miliardi che Londra non si sogna neppure di accettare. In più ci sono i maggiori costi per i contributi nazionali che i 27 dovranno accollarsi: nel solo 2019, secondo stime spagnole pubblicate dalla Stampa, +4,24 mld per la Germania, +1,78 mld per la Francia e più 1,3 mld per l'Italia. Intanto già accelera la corsa dei candidati per aggiudicarsi il trasferimento delle due agenzie europee basate a Londra. Per l'Eba, regolatore delle banche, ci sono appetiti ad Amsterdam, Dublino, Francoforte, Parigi e Vienna. Per l' Ema, che sorveglia i farmaci con un budget da 300 mln l'anno, da Milano Roberto Maroni ha proposto la sede del Pirellone. E proprio domani Alfano e Padoan saranno appunto a Londra per attrarre in Italia investimenti e capitali stranieri, ma anche per lavorare sulla candidatura italiana che dovrà affrontare quelle già ufficiali ufficiali di Irlanda, Svezia, Austria, Ungheria e Malta e quelle ancora informali di Spagna, Danimarca, Germania e Finlandia.

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