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Classici o bizzarri, i capolavori di Manolo Blahnìk ai piedi delle donne - Foto

PALERMO. Parafrasando Virginia Woolf in Orlando: le scarpe «cambiano la nostra visione del mondo e la visione che il mondo ha di noi». Sensuali, inalberando uno stiletto; ortodosse, sulle impossibili zeppe; senza eleganza se rasoterra, bon ton se con il tacco a rocchetto, da perpetua. Insomma, la scarpa parla di una donna forse più delle sue mani: eleganti, impossibili, importabili, insopportabili, le calzature femminili registrano forse gioie e dolori insieme, amori e disillusioni. E, come ogni Olimpo che si rispetti, hanno anche loro un Dio padrone: Manolo Blahnìk, ovvero Manolo come le fashion addicted sussurrano implorando attenzione.

Fino al 9 aprile Palazzo Morando, a Milano, ospita la mostra Manolo Blahnìk. The Art of Shoes a cura di Cristina Carrillo de Albornoz. Palazzo Morando è la sede deputata alla conservazione e alla valorizzazione del ricchissimo patrimonio di abiti e accessori antichi e moderni del Comune di Milano, che comprende anche 300 esemplari di scarpe, tra il XVI e il XX secolo: dalle scarpe rinascimentali ritrovate durante gli scavi nell’area del Castello Sforzesco di Milano, all’alta moda di questi ultimi anni. E sono queste paia storicizzate a dialogare con le scarpe «birichine» dell’iconico couturier spagnolo.

La collezione esposta - 212 modelli e un’ottantina di disegni che coprono 45 anni di attività dello stilista – è un vero e proprio viaggio istrionico tra le migliori creazioni di Manolo, vere e proprie opere d’arte che nascono (lo sanno in pochissimi) proprio nelle aziende artigianali calzaturiere dell’hinterland milanese. Ma la mostra è soprattutto un percorso per immagini nell’universo Manolo: che prende forma in una piantagione di banane alle Canarie dove il piccolo couturier in nuce, aspettava con la madre spagnola l’arrivo mensile di Vogue e, nello stesso tempo, teneva testa al padre, solenne slavo.

Manolo cresce riempiendosi gli occhi di sole e mare; poi di moda parigina, poi di eccentricità londinese. E qui si ferma, incerto sulla strada da prendere: fino a quando due amici, Paloma Picasso, e il fotografo Maurice Hogenboom, non organizzano per lui un incontro a New York con Diana Vreeland, allora potentissima direttrice di Vogue America.

La Vreeland ha l’occhio lungo, le piace questo giovane che ama disegnare scenografie fantasiose e costumi brillanti; ma si sofferma su uno schizzo che raffigura una caviglia avviluppata in edera e ciliegie, e decide: «Concentrati sulle estremità e disegna scarpe! Fai quello che ti rende felice. Non pensarle come scarpe ma come capolavori!».

È la svolta: Manolo Blahnìk decide che tutto ciò che ha letto, studiato, amato, deve diventare una suola, un corpo, uno stiletto. Dalle sculture greco-romane agli scintillii barocchi, dal Gattopardo di Visconti ai coralli di Sicilia, dalle piume alle paillettes, da Picasso a Mondrian, dalla Toscana a New York, da Sex and the City a Shangai: tutto è visione, tutto è colore. Tutto è una scarpa.

Dall’archivio privato dello stilista che conta oltre 30.000 modelli, Manolo e la curatrice Cristina Carrillo de Albornoz hanno selezionato 212 scarpe e 80 disegni: è il mondo intero Blahnìk che va in mostra, racchiuso in vetrine gioiello che contengono scarpe gioiello.

La mostra è divisa in sei sezioni che esaminano i temi costanti e ricorrenti della carriera di Manolo Blahník: la prima, la più vasta, è intitolata Core e raccoglie le calzature dedicate a personaggi storici e contemporanei che le hanno ispirate; da Alessandro Magno a Brigitte Bardot, sino a Anna Piaggi, direttrice di Vogue Italia. La seconda sezione, Materiali, comprende una selezione di scarpe che illustrano l’attenzione per il dettaglio elaborato e la ricchezza di materiali e colori usati con maestria squisita: è in questa vetrina il modello Principe Lampedusa, così chiamato in onore dell’autore del Gattopardo, in corallo e oro, «candidamente gioioso e raffinato».

Nel 2000 Manolo creerà le Tortura, sabot con tacco in vitello e decorazioni in vero corallo applicate a piccole stringhe; e nella collezione primavera/estate 2015 le Coraletta, sandali con fascetta e cinturino alla caviglia decorato da una miriade di piccoli coralli in resina.

La terza sezione esamina la passione di Manolo per l’arte e l’architettura e il modo in cui queste ispirano le sue «costruzioni»; segue la raccolta Gala con le creazioni più fantasiose dello stilista, comprese le famosissime (e importabili) scarpe Marie Antoinette, ma anche i modelli ispirati a Paolina Bonaparte, la regina Maria Luisa di Parma o Caterina II di Russia, Brigitte Bardot, Romy Schneider o Julie Christie.

La quinta sezione è dedicata all’amore profondo e mai nascosto, di Manolo per la natura e il mondo botanico. Chiude un ultimo capitolo con i modelli ispirati a Spagna, Italia, Africa, Russia, Inghilterra e Giappone.

Insomma, è una mostra che racconta la filosofia Manolo Blahník, adorato dal pubblico femminile. «Sono stato molto fortunato a essere circondato da donne incredibilmente intelligenti ed eleganti, che hanno sempre amato ciò che facevo», ha raccontato lo stilista, sostenuto sin dai primi anni, da Bianca Jagger, Paloma
Picasso, Marisa Berenson, Loulou de la Falaise, Tina Chow, Beatrix Miller e Grace Coddington, sono tutte donne forti che la moda degli anni Settanta seguiva come
muse.

In quegli anni Manolo vive a Londra e sta progettando la sua prima boutique: arredata come una villa pompeiana, in Old Church Street a Chelsea, esiste
ancora oggi: a breve Ossie Clark gli chiederà di disegnare le calzature per sua collezione; seguiranno Calvin Klein, Carolina Herrera, Isaac Mizrahi e Oscar de la Renta che lo porterà negli Stati Uniti, e lo farà conoscere ad un altro artista «folle» della moda come John Galliano; oggi Manolo è sempre alle estremità dei modelli
di Givenchy e Dior, Christopher Kane e Vetements.

Dopo Milano, la mostra approderà all’Hermitage di San Pietroburgo in quella Russia che è stata per Blahnik una fonte d’ispirazione costante; passerà poi al Museum Kampa di Praga nella Repubblica Ceca, patria del padre dell’artista; infine sarà ospitata al Museo Nacional de Artes Decorativas di Madrid, omaggio di Manolo
Blanhík alla sua terra natale. Nel 2018 raggiungerà il Bata Shoe Museum di Toronto, in Canada.

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