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Rai, tetto ai compensi anche per artisti: è bufera

ROMA. «La legge sul tetto ai compensi degli artisti della Rai «metterebbe oggettivamente la Media Company di servizio pubblico in una condizione di subalternità». A pochi giorni dal voto del Cda Rai, che ha impegnato Viale Mazzini ad ottemperare anche per gli artisti i dettami della riforma per l'editoria che fissa a 240 mila euro lordi l’anno il tetto degli stipendi, è il dg Antonio Campo Dall’Orto a dire la sua con una lunga lettera al quotidiano la Repubblica. Niente, da fare, sostiene netto il direttore generale replicando ad un editoriale di Natalia Aspesi, «non c'è modo di guardare a questa misura come opportunità», «una buona squadra è fatta anche da giocatori esperti che vanno adeguatamente retribuiti».

Ma se la maggior parte dei tanti artisti e giornalisti coinvolti evitano al momento commenti, tra opinionisti e politici non tutti la pensano come lui. A cominciare da un ex di peso della Rai come Giovanni Minoli, che dalle pagine di Libero si dice invece del tutto favorevole al taglio: «sarebbe il modo per calmierare i compensi, far uscire dalla paralisi la Rai e dare un senso agli introiti da 2 miliardi di euro del canone pubblico».

Tant'è, in attesa che arrivi un cenno dai ministeri dell’economia e dello sviluppo economico - in settimana potrebbe esserci un incontro tra i due dicasteri - o che parta una iniziativa parlamentare, le fazioni dei favorevoli e dei contrari sono entrambe nutrite e i toni della discussione accesi. Dalla neonata formazione dei Democratici Popolari, l’ex pd Roberto Speranza applaude al tetto : «Occorre dare un segnale di sobrietà, non si può immaginare che dalla Rai, che è un’azienda pubblica, non arrivi un messaggio netto di sobrietà». Da Forza Italia, Maurizio Gasparri traccia un distinguo tra artisti e giornalisti vip e se la prende con i sottosegretari Calenda e Giacomelli: «stanno preparando la 'legge Faziò - denuncia - È incredibile che il governo, mentre dilaga la povertà, pensi a un blitz legislativo per dare milioni ai propri cocchi tipo Fazio e Annunziata. Un conto è ragionare in termini di mercato per quanto riguarda la dimensione dello spettacolo. Altro è garantire privilegi a dei megafoni del regime renziano e del Pd».

Nella lunga intervista, Minoli non si limita a parlare del tetto degli stipendi: punta il dito sui troppi collaboratori esterni di Viale Mazzini, critica le scelte dei vertici, denuncia lo strapotere dei manager, rimprovera al dg Campo Dall’Orto di non aver ancora presentato un piano editoriale. Alla fine lancia la sua proposta, che è quella di mettere a gara una parte del canone: «Si deve fare in modo che una quota parte della concessione si leghi ai progetti. Per esempio dei 400 milioni in più piovuti dal canone nella bolletta elettrica, 200 se ne potrebbero assegnare a tv che non siano la Rai. Si innescherebbe un circuito virtuoso verso l’alto. Il tetto a quel punto diventerebbe un falso problema». Una proposta, questa, che secondo il parlamentare pd Michele Anzaldi, segretario della Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, «in una Rai sempre meno servizio pubblico(...) rappresenta un’idea sempre meno peregrina».

La Rai intanto ha ufficializzato sul suo sito il cambiamento nelle buste paga di giornalisti e dirigenti, per i quali il tetto dei 240 mila euro è stato deciso da novembre con l'entrata in vigore della legge. Il risparmio per la tv pubblica - fa i conti in un servizio online Repubblica - è di 1 milione 655 mila 102 euro. I giornalisti e i dirigenti interessati sono 37. Campo Dall’Orto, che era approdato a Viale Mazzini con uno stipendio di 650 mila euro, il più penalizzato. Ma quella degli artisti è un’altra storia: le cifre pagate ai «talenti», sottolinea il dg rai, «sono un investimento sicuro». L’esempio è Carlo Conti, reduce dal successo dell’ultimo Sanremo. Il suo ruolo di direttore artistico, ricorda Campo Dall’Orto, è costato 650 mila euro, ma il suo progetto ha portato, tra l’altro, ad una raccolta pubblicitaria di 26 milioni di lire.

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