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Gli infortuni, i gol, il buddhismo: i 50 anni di Roberto Baggio, il "divin codino"

ROMA. «Ho avuto la fortuna di veder giocare Meazza e ho pensato a lui quando ho visto Baggio».

Parole che Gianni Brera pronunciò nel 1989, quando il codino ancora non ornava la chioma di Roby, ma il suo talento aveva già conquistato tutti.

Il bilancio finale fra estimatori e detrattori è nettamente in attivo per Baggio che, nel corso di una carriera quasi irripetibile, ha acceso la fantasia di tifosi, appassionati di calcio, tecnici e colleghi.

Giunto al traguardo dei suoi primi 50 anni, Baggio è ancora un'icona, un monumento al calcio, capace di attivare strani episodi di feticismo: in Giappone come Cina, dove spesso sono stati messi in commercio addirittura le lenzuola dove l'ex fantasista dai piedi educatissimi aveva dormito.

I gol a Italia '90, il rigore sbagliato a Pasadena, le magie su punizione e non solo, un «questo è matto» sussurrato a Sacchi a Usa '94, il 'tradimento' dalla Fiorentina alla Juve, gli infortuni e le rinascite, la conversione al buddhismo, tutto in un 'divin codino':

Baggio è stato uno degli ultimi 10 ed è giusto che a ricordarlo, attraverso frasi, aneddoti, ricordi, siano proprio i colleghi di numero. Brera fu un 10 del
giornalismo; a Michel Platini, invece, Baggio non è mai piaciuto.

«Più che un 10, mi sembra un nove e mezzo», disse di lui il francese, dopo averlo visto all'opera con la 'sua' ex maglia (quella bianconera), con la quale Roby vinse un Pallone d'Oro (ultimo attaccante italiano della storia a riuscirci) nel 1993, piazzandosi alle spalle di Hristo Stoichkov l'anno dopo.

L'Avvocato lo definì un «coniglio bagnato», per aggiungere in seguito: «Se Baggio è Raffaello, Del Piero può essere Pinturicchio».

Meno severo lo stesso Alex Del Piero, conterraneo di Baggio e suo successore, nella Juventus come nella Nazionale azzurra.

«Era un fuoriclasse, è una persona di grande qualità - le parole del 'Pinturicchio' ideato da Gianni Agnelli -. Forse concepiamo il calcio allo stesso modo. E sono felice che, nella memoria di tanti appassionati di calcio, i nostri nomi siano uniti da un ricordo dello stesso tipo».

Giancarlo Antognoni ha visto nascere calcisticamente Baggio, fra il Ponte Vecchio e la galleria degli Uffizi: lo 'svezzò' in un caldo pomeriggio di maggio, nello stadio San Paolo, nel giorno del primo scudetto del Napoli (1987), davanti agli occhi di 'sua maestà' Maradona.

«Quel giorno - ricorda l'ex numero 10 della Fiorentina, oggi dirigente del club viola - segnò un gol straordinario, su punizione, beffando Garella. I calci da fermo li tiravo io, quella volta glielo lasciai calciare e segnò un grandissimo gol. Rispetto a me era più offensivo, una seconda punta. Tradì la Fiorentina? Beh, rispetto a quando io dissi no alle squadre che mi volevano ingaggiare, i tempi erano cambiati. Peccato che anche la sua carriera, come la mia, sia stata martoriata dagli infortuni».

Per Gianni Rivera il paragone fra Totti, Del Piero e Baggio premia il romanista.

«È un 10 anomalo, per alcuni anni ha fatto anche il 9, una qualità in più. Del Piero è stato più seconda punta. Come Baggio. Baggio? Classe purissima su ginocchia ballerine. Forse è lui quello più simile a me. Chapeau davanti al genio di Roberto. Lui e Alex nel saltare l'uomo e sui calci da fermo non avevano rivali. E anche Mancini, vogliamo parlarne? Inventava colpi straordinari. Però, Totti...».

Anche il 'diez' per eccellenza, Diego Armando Maradona, nutriva una certa ammirazione per il 'Codino' di Baggio, arrivando a dire: «È un grande, anche se non è mai arrivato a sviluppare del tutto le proprie potenzialità. Mi sarebbe piaciuto molto giocare insieme a Totti, Baggio, Del Piero o Antognoni».

Le parole più belle per il fuoriclasse di Caldogno, però, sono arrivate dal mondo della musica, attraverso le note di una canzone che Lucio Dalla, uno dei numeri 10 delle note, gli dedicò:

«Baggio è una nevicata scesa da una porta aperta nel cielo».

Ecco, appunto.

«La mia filosofia di vita si basa sulla ricerca della felicità. Bisogna ricercare la felicità tutti giorni, dobbiamo trovarla dentro noi stessi e poi, se ne vale la pena, donarla anche agli altri. L'affetto della gente dopo 13 anni dal mio ritiro mi sorprende sempre».

Roberto Baggio ripercorre i suoi primi 50 anni tra magie in campo e stile di vita nello speciale che Premium Sport dedica al Divin Codino oggi.

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