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Divisioni nel Pd, l'appello di Renzi alla minoranza: "Niente scissione, ma più dialogo"

ROMA. Un appello al Pd affinchè si plachino le divisioni interne al partito. Niente scissione, ma dialogo e partecipazione. Soprattutto per i migliaia di iscritti e per i milioni di elettori che credono ancora nel progetto politico del Partito Democratico.

E' quanto chiede l'ex premier e segretario del Pd, Matteo Renzi, in una lunga intervista al Corriere della Sera pubblicata oggi in prima pagina in cui sottolinea che non accetterà "ricatti", che il congresso va fatto, come chiesto dalla minoranza, e che sui tempi "c'è lo statuto".

"Io voglio evitare qualsiasi scissione", afferma l'ex presidente del Consiglio. "Se la minoranza mi dice: o congresso o scissione, io dico congresso. Ma se dopo che ho detto congresso loro dicono 'comunque scissione', il dubbio è che si voglia comunque rompere. Che tutto sia un pretesto. Toglieremo tutti i pretesti, tutti gli alibi. Vogliono una fase programmatica durante il congresso? Bene. Ci stiamo".

"In America c'è Trump, l'Europa rischia di sgretolarsi se vince la Le Pen, i grillini sono alti nei sondaggi nonostante gli imbarazzanti risultati di Roma, Berlusconi e Salvini sono pronti a riprendersi la scena. Domando: chi ci va dai militanti della Festa dell'Unità a spiegare perché si deve rompere il Pd?", si chiede.

Sui tempi del congresso Renzi sottolinea che non è lui a decidere: "C'è uno statuto. Ci sono delle regole". Il Pd, rimarca, "non è un partito personale, ma essere un partito democratico significa accettare anche il dibattito. Il confronto. La democrazia interna. La minoranza deve sentirsi a casa. Ma sentirsi a casa non significa che o si fa come dicono loro o se ne vanno".

Quanto al voto, dice, "non sarò io a decidere la data, non sono più il presidente del Consiglio, deciderà il presidente della Repubblica, sulla base della situazione politica". E Gentiloni "merita il nostro sostegno sempre, non 'provvedimento per provvedimento' come sosteneva qualcuno fino a qualche giorno fa".

Renzi risponde anche a una domanda sulla notizia del padre indagato per traffico di influenze nell'inchiesta Consip esprimendo "fiducia totale nella magistratura". "Guai a chi fa polemica, gli inquirenti hanno il dovere di verificare tutto".

Intanto però nel Pd nessuno si sposta dalla proprie convinzioni. L'ultimo incontro, ieri, tra Lorenzo Guerini e Pier Luigi Bersani con la proposta renziana di un confronto programmatico nei tempi del congresso è stata respinta al mittente dall'ex segretario che chiede al leadem dem e ai suoi di "fermarsi" e di non "stravolgere il Pd per le velleità di una persona sola".

Matteo Renzi, oggi al Nazareno, ha incontrato tutti gli esponenti della maggioranza, da Piero Fassino a Maurizio Martina. Ma alla luce del fallito incontro tra Guerini e Bersani, l'impressione al vertice Pd è che la minoranza abbia tratto il dado della scissione con la motivazione giudicata "incomprensibile" sui tempi del congresso da rinviare a dopo le amministrative con l'unico scopo di logorare il leader dem e poi chiedere le dimissioni.

Altro che "questione di date e lana caprina", ribatte a brutto muso Bersani, che nella minoranza viene descritto come il più rassegnato, rispetto a Michele Emiliano e a Roberto Speranza, sul fatto che ormai non ci sia più nulla da fare.

E che, con la road map di un congresso entro aprile, Renzi abbia deciso "di mettere una spada di Damocle sul governo Gentiloni e di trasformare il congresso in un'immediata e rapida conta".

Oggi il segretario lancerà un ultimo appello per cercare di evitare uno strappo che farà male a tutti. Ma, osservano i renziani con toni più o meno dialoganti, il "grido" di Bersani è "paradossale perchè Renzi si è già fermato aprendo il congresso, che ancora Rossi e Emiliano chiedono sui loro siti, mentre la minoranza va verso la scissione".

Certo Dario Franceschini e Andrea Orlando avrebbero preferito che, pur di evitare la scissione, il leader si spingesse a concedere qualche mese in più per il congresso. "Dalla maggioranza ieri e oggi sono arrivati segnali importanti. È fondamentale che ne arrivino da subito anche dalla minoranza", osserva il Guardasigilli alludendo alla sua proposta di un confronto programmatico, condiviso anche da Martina e Zingaretti, da fare in avvio di fase congressuale ma respinto come un bluff dalla minoranza.

"Il 4 dicembre è caduto un impero. È finita l'epoca della rottamazione: ora e' il momento di costruire. E Renzi è la persona meno adatta per ricostruire il Paese", sentenzia lapidario Michele Emiliano. Come dice Beppe Fioroni, ormai per tenere unito il Pd "serve l'attack".

E la scissione viene data a tal punto per scontata che nel Pd ci si interroga se, dopo l'uscita della minoranza, avrà ancora senso fare il congresso. E se ci saranno candidati, non di facciata, pronti a sfidare Renzi. Non ha intenzione, almeno per ora, di unire la sua strada a quella del Pd Giuliano Pisapia. L'ex sindaco di Milano, che sta costruendo il suo Campo Progressista, ha incontrato ieri il segretario Pd e, a quanto si apprende, avrebbe chiarito di voler tenersi per ora le mani libere.

"Campo Progressista prosegue in piena autonomia il lavoro", ha spiegato Pisapia oggi su Facebook aggiungendo di auspicare uno sforzo "per ritrovare valori comuni prima delle ragioni di divisione" nei due campi di battaglia del fine settimana: il congresso di Si a Rimini e l'assemblea del Pd a Roma.

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