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Pd tra sospetti e smentite. Bersani: voto nel 2018 e a giugno il congresso

ROMA. Sospetti e attacchi incrociati in un Pd balcanizzato dove, a cinque giorni da una direzione cruciale, le correnti serrano i ranghi ma anche la maggioranza, che va da Franceschini a Orfini, mostra delle crepe.

In assenza di chiarimento politico, a tenere banco sui divanetti di Montecitorio è il cosiddetto "golpe" che, secondo ricostruzioni di stampa, Dario Franceschini e Andrea Orlando starebbero ordendo ai danni di Matteo Renzi.

Se il ministro della Giustizia smentisce, l'ex Dc, descritto come furioso, non dà credito ai retroscena ma, a quanto si apprende, avrebbe chiarito in una telefonata al leader dem di essere al lavoro per una soluzione, il premio alla coalizione, che tenga unito il Pd e rafforzi il segretario. L'unico che non fa mistero di avere una road map chiara è Pier Luigi Bersani che incalza l'ex premier avvertendo che, se il Pd va avanti così, «andiamo nei guai non solo politici ma anche economici e sociali».

L'ex segretario vede le elezioni nel 2018 e in attesa del voto colloca saldo al governo Paolo Gentiloni ed il Pd impegnato «da qui a giugno a fare la legge elettorale e poi il congresso». Indicazioni che i renziani leggono come «attacchi quotidiani» frutto di «ossessione» da parte della minoranza ma che Renzi dovrà considerare se lunedì vorrà fare una proposta che eviti future scissioni.

Ma sul sostegno al governo, i bersaniani non sono soli nel Pd: 40 senatori di varie aree, tra i quali Chiti, Cirinnà, Zavoli, Vaccari e Tronti, chiedono, senza comunque precisare quando si dovrebbe votare, in un documento che il Pd lavori per il successo del governo e al tempo stesso rilanci il partito.

Per capire il clima tra i dem, al di là dei rapporti tesissimi tra maggioranza e sinistra interna, basta registrare le diffidenze reciproche in Transatlantico: se i franceschiniani sospettano che ad ispirare articoli sul presunto tradimento di Franceschini-Orlando siano stati proprio i renziani, gli uomini, vicini al segretario, interpretano come un avvertimento degli alleati un vertice, ieri sera, tra Franceschini, Orlando e Maurizio Martina, smentito dagli interessati.

Altro che riunione segreta, chiariscono uomini vicini al ministro della Cultura, ieri sera fino a mezzanotte Franceschini era alla Camera per un incontro con i parlamenti di Areadem con l'obiettivo, avrebbe detto l'ex Dc, di trovare, con la proposta del premio di coalizione, una soluzione che vada bene a tutto il Pd senza strappi nè scissioni e con l'intenzione di rafforzare la leadership di Renzi.

Il segretario, dal canto suo, è a Roma ma si tiene lontano da riflettori e polemiche. A lui spetterà lunedì l'onere della proposta: se insistere sulla necessità di un accordo sulla legge elettorale per andare al voto nei tempi più brevi possibili o prendere atto delle divisioni interne, rinviare le elezioni a fine legislatura e annunciare l'anticipo del congresso.

In ogni caso, a giugno o a febbraio, Renzi ha già fatto sapere che sarà in campo, convinto, anche in base ai sondaggi, di vincere la battaglia congressuale contro qualsiasi rivale.

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