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Fra archeologia e nuove tecnologie, «caccia» al vino che ha tremila anni

GIARDINI NAXOS. Ricostruire la storia dell’agricoltura di una parte della Sicilia in un calice di vino. Trovare in colture miracolosamente scampate al consumo del tempo, considerate tra le migliori dell’antichità e già esportate in tutto il mondo conosciuto, il sapore di ciò che bevevano i nostri avi e, con intuizioni di più ampio respiro, dare un valore aggiunto a tutto il territorio. Perché è vero che ancora si lavora per ipotesi, ma una cosa è chiara: nella zona di Naxos si produceva un buon vino già nell’epoca greco-romana, così buono da incontrare il favore di Plinio che si è preso la briga di citarne le straordinarie qualità e il gusto.

Così buono da venire utilizzato, secondo alcune testimonianze storiche, anche nelle cerimonie in onore di Apollo. Questo vino era il Tauromenitanum e oggi il Vivaio Federico Paulsen che fa capo alla Regione siciliana (e si occupa, tra l’altro, di vivaismo viticolo, analisi di biologia molecolare e sperimentazione), insieme con l’Irvo, l’Istituto regionale Vini e Oli di Sicilia, l’Ente di sviluppo agricolo, il Dipartimento Agricoltura e i comuni dell’area interessata, sta cercando di riportarlo in vita.

La sperimentazione ha preso il via un paio di anni fa e con l’ultima vendemmia sono iniziati gli esperimenti di vinificazione. Il progetto di ridare vita all’antico nettare è ancora in fase iniziale ma sono stati individuati tre vitigni - Ieppola, Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio - su cui si stanno facendo indagini storiche e tecniche.

«Il nostro Vivaio si sta occupando di effettuare micro vinificazioni di queste uve procurate da piccoli produttori della zona e tramandate da generazioni in un’area ricca di fazzoletti di terra coltivati a vite - spiega il tecnico Giacomo Ansaldi - e parallelamente cerchiamo delle tracce di questo vino storico per trovare corrispondenze col passato».

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