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Se l’opera gira intorno al museo allora la mostra sembra quasi un set

MILANO. Parafrasando René Magritte potremmo dire che questa non è una mostra: sono scorci di collezioni private.

Giocando con intelligenza e ironia sul rapporto tra realtà e rappresentazione filmica quello del curatore Luca Massimo Barbero è semplicemente un invito a guardare con occhi nuovi (e da angolature diverse) artisti divergenti nello stile ma che possono «dialogare» tra loro.

Fino al 26 febbraio, in via Palestro 16, negli spazi neoclassici di Villa Reale (antica residenza del conte Lodovico Barbiano di Belgiojoso) c’è La finestra sul cortile, percorso espositivo che indaga sul rapporto tra collezioni private e collezionismo e che s’inserisce nell’ambito della partnership (rinnovata per un altro triennio) tra Ubs e Galleria d’arte moderna del Comune di Milano, esempio virtuoso di connubio tra pubblico e privato.

«Un po’ cinema, un po’ museo - dice il curatore Barbero - entrando alla Gam si ha l’impressione di attraversare un vero e proprio set cinematografico ma anche artistico diventando spettatori, attori e visitatori al tempo stesso».

La relazione, quindi, è costruita non solo tra le opere stesse ma anche tra le opere e lo spazio con un inedito dialogo tra opere contemporanee o del Neoclassicismo milanese.

Quasi una caccia al tesoro. Anzi, ai tesori dello sguardo con una sceneggiatura ideata e scritta da Barbero.

Provenienti dalla collezione Panza e dalla collezione Berlingieri, «le opere hanno una loro vita fatta di ciò che rappresentano ma anche di ciò che hanno significato per i loro autori e per chi le ha possedute: passato e presente del collezionare entrano quindi in un creativo cortocircuito narrativo».

Originale nel titolo (La finestra sul cortile è stato uno dei film culto di Alfred Hitchcock), pur senza approfondire il legame con la cinematografia, l’esposizione ha comunque il merito di riunire visioni artistiche differenti facendole diventare un’unica raccolta omogenea.

«Nel film - continua Barbero - il protagonista Jeff ha un campo visivo limitato e, quindi, ricostruisce le storie dei vicini spiandoli dalla sua stanza. Allo stesso modo, il visitatore deve “aguzzare la vista” guardando le opere provenienti dalle due prestigiose raccolte d’arte private qui esposte attraverso accostamenti inaspettati, in giustappunto tra esposizione temporanea e permanente. Facendo attenzione, si possono scorgere dettagli che prima non si notavano, attraverso nuove interpretazioni come nel film di Hitchcock: lo scorcio del sottotitolo è quindi solo la nuova inquadratura con cui ammirare le opere delle collezioni private e della Gam».

Se si entra a Villa Reale dopo il tramonto, il benvenuto sono le proiezioni laser Adaptationrealizzate ad hoc dall’americano Arthur Duff: scritte in movimento, che s’ispirano al film di Hitch e ridisegnano la facciata della Villa, rompendo l’elegante architettura neoclassica: linee oblique di neon e laser contrastano con la natura verticale del museo che è simbolo di rigore e proporzione.

Il percorso si articola sui tre piani del museo: la prima sala è un invito al viaggio con l’emblematica grande carrozza realizzata da Christo, Wrapped carriage, lavoro appositamente realizzato per Annibale e Marida Berlingieri nel 1971 dall’artista bulgaro che iniziava a produrre nei luoghi dei suoi viaggi, utilizzando oggetti trovati in loco: è la prima opera direttamente commissionata ad un’artista da parte della coppia di collezionisti. Il percorso si sviluppa poi nella penombra e rimanda proprio al mondo del cinema.

La seconda stanza, infatti, è un tributo al silenzio e al buio (elementi caratterizzanti le sale cinematografiche) con opere dell’artista concettuale Joseph Kosuth (Titled), della minimalista americana Max Cole (ZunieBlack rock), della collezione Panza, e l’opera Contatto con cervo rosso dell’italiano Enzo Cucchi (collezione Berlingieri).

La terza sala, invece, gioca con il potere concettuale dei segni e delle lettere lasciando libertà d’interpretazione al visitatore: come titoli di testa proiettati su un muro (e non sullo schermo) ecco le frasi ambigue di Lawrence Weiner occupare tre pareti della sala e poi, da contrappunto, i due piccoli Drawing di Franz Kline.

«Una delle novità della mostra - continua Luca Massimo Barbero - è che a diventare museo è davvero l’intera superficie di Villa Reale, dal giardino al sottotetto. E, come in un film, semplicemente camminando, si va dal buio delle prime sale alla luce finale. Questa milanese è solo la prima di una serie di mostre che voglio dedicare ad Alfred Hitchcock: la prossima finestra si aprirà nel mese di dicembre 2017 in Uruguay».

Proseguendo nella quinta sala, il rimando al mondo del cinema è reso con la presenza di spettatori ovvero opere figurative che vengono accostate in modo inedito ad opere astratte, come a rappresentare osservatori silenziosi.

Ecco, quindi, che la Figura di donna’ di Paolo Troubetzkoy del 1890 guarda ai contemporanei dipinti monocromi di David Simpson e Ettore Spalletti (Cyprian square e Cuscino’) ovvero la materia che dialoga con il suo esatto contrario, diventando astrazione bidimensionale.

Così come Autori - tratto a novant’annidi Francesco Hayez (collezione Gam) è messo in relazione con opere monocrome di enorme dimensione come il One day you will no longer be loved’ di Jake & Dinos Chapman.

Nell’ultima sala al piano terra, il video del volto di Douglas Gordon (Monster), invece, fa da contrappunto alla compostezza del Ritratto di Giuseppe Ripamonti di Giuseppe Penuti.

Al secondo piano, si trovano dipinti ottocenteschi e opere del nostro tempo: Eduard Manet e Rudolf Stingel, Giovanni Boldini e Carl Andre.

Mentre al primo, gli accostamenti tra opere delle collezioni private e quelle della Galleria d’arte moderna sembrano «intrusi» neoclassici che, però, bene si adattano alle sale neoclassiche di Villa Reale: ecco quindi la Saffodi Giulio Paolini accostata alle sculture neoclassiche di Giacomo Spalla e Rudolph Schadow mentre la Venere di Pompeo Marchesi del 1855, sembra affascinata dal cerchio blu di Gregory Mahoney. Un altro cerchio, ‘Valle Pellice stone circle’, di Richard Long, s’inserisce con eleganza e naturalezza nella sala numero diciassette, al primo piano. Un dubbio: ma che avranno da dirsi, poste l’una di fronte all’altra, opere così diverse tra loro?

«Secondo me - conclude Barbero, “si stanno molto divertendo. Anzi, sono loro a guardare noi anche se sembra il contrario: e si divertono molto”.

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