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Siti interattivi e realtà digitali: i musei italiani sempre più social

ROMA. All'avanguardia come sempre, i musei Vaticani ci si sono già buttati a pesce, con un nuovo sito web (che verrà presentato il 23 gennaio) e mille progetti per incrementare i servizi offerti online, dalla vendita dei biglietti alla visita delle collezioni. Ma non sono i soli, perchè anche in territorio italiano molti dei quasi 5 mila tra aree archeologiche e monumenti contati dall'Istat stanno ora provando a rilanciarsi sfruttando le opportunità offerte dal mondo digitale.

Anche se, a scorrere i dati, un po' dappertutto, dal nord al sud, dai musei statali alle realtà comunali, il lavoro da fare è ancora tanto, se si pensa che solo poco più della metà dispone al momento di un sito web, spesso non benissimo organizzato e molto spesso solo in italiano. E sono ancora meno quelli che si sono provvisti di un account social, pochissimi quelli presenti sui tre più diffusi (Facebook, Twitter, Instagram).

«Le istituzioni culturali si trovano oggi di fronte a una doppia sfida: non basta attrarre visitatori, bisogna trovare il modo per comunicare il proprio patrimonio in un modo nuovo, che lo renda più prossimo alle esigenze di conoscenza ed esperienza di cittadini e turisti», raccomanda Michela Arnaboldi, Direttore Scientifico dell'Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività culturali, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, promotore di una ricerca su musei e digitalizzazione presentata nei giorni scorsi.

Il Mibact è sulla stessa linea: a partire dalla gestione Bray, e poi sempre di più con Franceschini, sta cercando di spingere i suoi musei a diventare sempre più digital e sempre più social anche con campagne mensili promosse con gli account ufficiali del ministero. E qualcuno si distingue più degli altri, dagli Uffizi al Maxxi, dalla Galleria d'Arte Moderna a Roma all'Egizio a Torino. Ma non è così facile: stando agli ultimi dati raccolti dall'Istat, parlando di strumenti digitali il più diffuso è il sito web, posseduto oggi dal 57% dei musei italiani. Seguono gli account sui social network (41%) e poi la newsletter (25%).

Solo il 20% offre però allestimenti interattivi o ricostruzioni virtuali, il 19% il wi-fi gratuito. E quando si parla di QR code, servizi di prossimità, catalogo accessibile online o visita virtuale del museo dal sito web le percentuali scendono fino al 13-14%. Condotta nel 2016 su un campione di 476 musei, l'indagine dell'Osservatorio Innovazione Digitale sottolinea per esempio che i siti web, spesso non facilitano l'utente come potrebbero e nel 49% sono solo in italiano. Per non parlare di servizi avanzati, come la possibilità di acquistare online merchandising o materiale legato al museo (ce l'ha solo il 6%), fare donazioni (6% e per il 70% si tratta di musei privati) e crowdfunding (1%).

Quanto alla presenza sui social network, il 52% possiede un account, ma solo il 13% è presente su tutti e tre i social più diffusi (Facebook, Twitter, Instagram), anche se il particolare curioso è che il 10% dei musei che non ha un sito Internet risulta però attivo su Facebook. Nel campione analizzato dall'Osservatorio, i 3 musei con il maggior numero di page like su Facebook sono comunque proprio i Musei Vaticani, seguiti dalla Reggia de La Venaria Reale e dal MAXXI.

Su Twitter, primeggia il profilo dei Musei in Comune di Roma, seguito MAXXI e dal Museo del Novecento a Milano. Su Instagram, vince la Peggy Guggenheim Collection di Venezia, seguito da Triennale e MAXXI. Una percentuale più alta, ben il 62%, è presente invece su Tripadvisor e di questi, molti (51%) hanno un certificato di eccellenza. E le startup? In Italia sono 105 quelle censite. Pochissime quelle che si cimentano sul B2B, probabilmente a causa della «prudenza» che le istituzioni culturali del paese ancora mantengono verso gli investimenti digitali. Mentre «c'è fermento sui servizi di supporto alla visita di musei e città, ambito in cui il mercato è maggiore anche per la forte connessione con il turismo».

Ai Vaticani la nuova direttrice Barbara Jatta è più che convinta della strada intrapresa: «Vengo da una realtà molto informatizzata come la Biblioteca Apostolica Vaticana e voglio proseguire in questa direzione anche nel mio nuovo incarico», ha annunciato a Radio Vaticana. E il nuovo sito web, chiarisce la direttrice, servirà anche a rendere meno elitarie le blasonate collezioni papali: «Vogliamo arrivare nelle case, nei computer, di tutto il mondo, non solo con la nostra offerta turistica. Anche offrendo ciò che noi siamo, le opere che conserviamo, le nostre straordinarie collezioni».

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