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Israele sfida l'Onu: 618 nuove case a Gerusalemme est

Gerusalemme est - Ansa

TEL AVIV. Benyamin Netanyahu avvisa l'Onu che «Israele non porgerà l'altra guancia» e mette in campo una serie di contromisure diplomatiche a tutto campo. Nel frattempo - con una decisione presa prima della tempesta scatenata dall'approvazione all'Onu della Risoluzione contro le colonie ebraiche al di là della Linea Verde del 1967 - il comune di Gerusalemme molto probabilmente darà il via libera mercoledì prossima ad un precedente piano che prevede la costruzione di 618 nuove case nella parte est della città, quella a maggioranza araba. Le nuove abitazioni, qualora il progetto venisse approvato, saranno così ripartite: 140 a Pisgat Zeev, 262 a Ramat Shlomo e 216 a Ramot.

Una scelta che getterà nuova benzina sul fuoco che arde da venerdì scorso le cui conseguenze qualche commentatore israeliano non ha esitato a definire «l'isolamento di Israele». Ma Netanyahu - che in patria è attaccato dal centro e dalla sinistra - non sembra intenzionato a mollare. Dopo le parole pesanti dei giorni scorsi contro l'amministrazione di Barack Obama - che con la sua astensione al posto del veto ha fatto passare la Risoluzione - oggi l'ambasciatore israeliano al Palazzo di Vetro Ron Dermer ha ribadito che Israele ha le prove a dimostrazione che l'amministrazione Obama è dietro quel voto.

«Le presenteremo alla nuova amministrazione tramite i canali appropriati. Se vorranno condividerle con il popolo americano, potranno farlo», ha affermato Dermer. Messaggio chiaro e diretto visto che Netanyahu e l'intero governo confidano nella promessa fatta dal presidente eletto in persona Donald Trump: «Dal 20 gennaio» , ha twittato, con l'insediamento sarà tutta un'altra storia. Tuttavia Netanyahu - come ha detto esplicitamente - non pensa che i colpi di coda di Obama siano finiti: il timore è che dalla Conferenza internazionale per rilanciare il processo di pace indetta a Parigi dalla Francia (senza israeliani e palestinesi) il 15 gennaio, 5 giorni prima del passaggio formale di consegne alla Casa Bianca, escano nuove sorprese. In sostanza - è stato detto - un altro macigno, difficile da rimuovere, che isoli ancor di più Israele e lo spinga a più miti consigli. Non è un caso che proprio oggi il ministro della Difesa Avigdor Lieberman abbia tuonato contro la Conferenza di Parigi paragonandola al Processo Dreyfus.

«Un tribunale contro Israele», ha accusato, aggiungendo che il suo scopo «è danneggiare la sicurezza di Israele e la sua reputazione» con una differenza rispetto al celebre processo contro il capitano ebreo innocente: sul banco degli accusati a Parigi «invece di un solo ebreo, c'è l'intero Stato ebraico».

La controffensiva di Netanyahu è partita subito: non solo - con mossa inusuale - ha convocato il giorno stesso di Natale a Gerusalemme gli ambasciatori dei paesi del fronte del sì alla Risoluzione - Usa compresi - ma ha ordinato ai propri ministri di non avere contatti con gli omologhi di quei paesi. Ha disdetto la visita di Stato in Ucraina (che ha votato sì) e si è creato un giallo riguardo un incontro con il premier britannico Theresa May (altro paese a favore): alla sua disdetta è seguita la smentita. Nell'occhio del ciclone c'è anche l'Onu: Netanyahu ha dato disposizioni, secondo i media, di aumentare la pressione nei confronti dell'Urwa (l'Agenzia per i profughi palestinesi) e del Ceirpp (Comitato Onu sui diritti dei palestinesi). In vista una possibile risoluzione sulle «regole di condotta per gli impiegati Onu». Poi con Trump dovrebbe essere un'altra cosa.

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