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Gentiloni: sui migranti Ue in ritardo. Lavoro, sul Jobs act non si cambia

BRUXELLES. Toni felpati, messaggi chiari. Paolo Gentiloni debutta a Bruxelles da presidente del consiglio. Dove "tutti i colleghi mi hanno chiesto di salutare Matteo Renzi" e "mi hanno accolto calorosamente, incuriositi e favorevolmente colpiti dalla rapidità con cui la crisi si è risolta".

Ma poi Gentiloni è andato all'attacco, denunciando i "grandissimi ritardi" con cui l'Europa reagisce davanti alla crisi migratoria. Ritardi che diventano ancora più perché "i problemi sono più veloci delle soluzioni" osserva al termine di un vertice. Non ha il tono di chi lancia proclami. Arrivando, con sei ore di ritardo sui tempi previsti, nella sala della sua prima conferenza stampa da premier, si scusa con ironia: "La riunione è durata appena 12 ore...".

Ma se i modi sono pacati, i messaggi sono incisivi anche verso la Germania. Che "ha dato l'esempio" nella politica migratoria, ma ora non deve dare l'idea di relax perché la rotta dell'Egeo è "apparentemente sotto controllo". Insomma, non può essere che "l'emergenza è meno emergenza" perché il problema si è sposato sulla rotta del Mediterraneo e verso l'Italia. E c'è troppa lentezza anche nel passare all'azione con i 'migration compact' per l'Africa, lanciati a gennaio e solo ora ai primi passi concreti. Per di più già efficaci. In più stoppa il tentativo di fare una brutta riforma dei Dublino.

"Un'ora e mezza" delle 12 passata a lavorare di cesello sulle conclusioni, dove alla fine si frena la fretta della Germania di chiudere tutto entro giugno prossimo. L'obiettivo è indicato, ma non è più un mandato obbligatorio. E l'Italia è in prima fila anche nello sventare il tentativo polacco di far prolungare per un anno anziché per sei mesi, le sanzioni alla Russia per l'Ucraina. In più non lascia passare la proposta "per me sbagliata" di minacciarne altre per le azioni in Siria. Perché l'Europa non deve avere "reazioni automatiche", soprattutto in un momento di "transizione politica" come quella avviata dall'arrivo di Trump alla Casa Bianca.

La prima giornata bruxellese da premier era cominciata con il caloroso applauso della famiglia socialista che ha dato "pieno appoggio a Gianni Pittella" nella corsa alla presidenza per il Parlamento europeo ("ma comunque vada l'Italia casca bene...", visto che in lizza c'è anche Tajani). Poi il primo faccia a faccia con Angela Merkel, Francois Hollande e Mariano Rajoy per la firma dell'accordo di sostegno economico al Niger, "primo concreto passo avanti" nell'attuazione dei 'migration compact'. Ma anche esempio di lentezza europea, perché l'idea italiana era stata lanciata a gennaio scorso e comincia a funzionare.

L'applauso al Pse "non è stato liberatorio", avverte chi ha partecipato alla riunione, perché nel benvenuto dato dal segretario generale, Sergej Stanishev, e dagli altri leader presenti al nuovo premier italiano ci sono stati "ripetuti e forti ringraziamenti per il lavoro fatto" da Matteo Renzi. L'apprezzamento per la continuità è stato espresso anche da Pierre Moscovici: quello di Paolo Gentiloni, ha detto, "è sempre un governo amico". Prima di entrare nel Justus Lipsius, Gentiloni aveva messo in chiaro la priorità dell'Italia: "Oggi la questione principale, tra le tante, è quella dell'immigrazione. E da questo punto di vista l'Italia è molto esigente perché non siamo ancora soddisfatti della discussione sul regolamento di Dublino che fissa le regole sull'accoglienza dei rifugiati".

Obiettivo primario raggiunto, bloccando il tentativo della presidenza slovacca (portatrice degli interessi 'anti-migranti' del gruppo di Visegrad) di far passare il concetto di 'solidarietà flessibile' lanciato al vertice informale di settembre a Bratislava per poter evitare la redistribuzione dei richiedenti asilo limitandosi a dare in cambio aiuti finanziari o inviare guardie di frontiera. Il regolamento si rivedrà, cercando l'unanimità. E non a colpi di maggioranza qualificata.

LAVORO.  "Non abbiamo nessuna intenzione di cambiare linea sull'articolo 18 e sul Jobs act". Lo ha detto il premier Paolo Gentiloni a Bruxelles. "Non abbiamo nessunissima intenzione di cambiare linea sull'art.18 o il jobs act. Tutto è perfettibile, ma io considero la riforma del lavoro che abbiamo fatto come uno dei risultati importanti da difendere del nostro governo", ha risposto Gentiloni a chi chiedeva se avesse intenzione di cambiare linea sul jobs act e sull'art.18.

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