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Renzi in "ritiro" nella sua Pontassieve, fermo nell'ipotesi del voto a giugno

Matteo Renzi

ROMA. Giugno. L'orizzonte resta questo, per Matteo Renzi: tornare al voto entro l'estate, senza protrarre oltre la legislatura. In queste ore l'ex premier si tiene lontano, spiegano i parlamentari che hanno avuto modo di sentirlo, "mille miglia dalle beghe romane". Ma non sembra aver cambiato idea sul percorso tracciato subito dopo le sue dimissioni, con il ritorno anticipato alle urne.

La strada, ammettono però i renziani, è stretta e accidentata, perché non solo nella minoranza ma anche in un pezzo di maggioranza Pd è al lavoro una nutrita pattuglia di "frenatori", che punta alla scadenza naturale della legislatura e che ha visto con allarme le parole di Giuliano Poletti, sul voto a giugno e conseguente slittamento dei referendum sul Jobs act.

Renzi, raccontano i suoi 'fedelissimi', a Pontassieve si dedica in queste ore alla famiglia e si tiene fuori da tutto, da ogni "bega". Certo, sottolineano, continua a ricevere una gran mole di messaggi di sostegno e incoraggiamento ad andare avanti: dalle ore immediatamente successive alla sconfitta e fino ad oggi sarebbero arrivate circa ventimila e-mail con l'invito a "non mollare", agli indirizzi di posta elettronica creati da premier. Il messaggio notturno su Facebook per raccontare l'addio a Palazzo Chigi, ha raggiunto 9 milioni di persone e continuerebbero ad arrivare, come raccontato dallo stesso Renzi in direzione, richieste di iscrizione al Pd.

Una ragione per cui, mentre i sondaggi - da ultimo uno realizzato per Porta a porta - mostrano l'appeal di un eventuale 'partito di Renzi', lui non sarebbe tentato dal 'disimpegno': "È segretario del Pd e si candiderà al prossimo congresso", ha detto Lorenzo Guerini. Qualche 'pasdaran' renziano in queste ore fa circolare l'idea che si possa votare ad aprile, prima del G7 di maggio. Ma i 'fedelissimi' del premier spiegano che l'orizzonte è al momento giugno.

Il ritorno anticipato alle urne servirebbe a 'smontare' gli argomenti anti-casta di M5s e Lega, anche perché impedirebbe ai parlamentari di maturare il vitalizio. Ma farebbe slittare anche un eventuale referendum sul Jobs act (la Consulta deciderà a gennaio). Per sminare questo passaggio, che rischierebbe di cassare un'altra riforma del governo, qualcuno nel Pd accarezza in queste ore l'idea di rimettere in ogni caso mano alla riforma, a partire dai voucher (più spinoso il tema articolo 18). Ma una valutazione al riguardo sarebbe ancora in corso.

Intanto, domenica il Pd dovrà tracciare il percorso dei prossimi mesi. Renzi non avrebbe ancora preso una decisione al riguardo, ma tra i parlamentari a lui vicini cresce la tentazione di rinviare al prossimo anno, alla scadenza naturale, il congresso del partito. E tenere a marzo le primarie per la candidatura alla premiership. Per allora, spiegano, sarà anche più chiaro con quale legge elettorale si andrà a votare, se saranno maturate le condizioni per fare una legge nuova in Parlamento, o si voterà con il sistema 'indicato' dalla Consulta. I dirigenti del partito sono al lavoro in queste ore perché domenica non si vada al 'redde rationem' con la minoranza, ma ci si presenti con una linea unitaria sul congresso.

I bersaniani continuano a chiedere che se congresso deve essere, Renzi si dimetta da segretario, a norma di statuto. E non è escluso che accada. Se non vogliono il congresso, ribattono però i renziani, lo chiedano, ma non si illudano - loro e coloro che nella maggioranza frenano sul congresso subito, come alcuni franceschiniani - che sia un modo per evitare il voto anticipato, perché Renzi in quanto segretario resterebbe, a norma di statuto, anche il candidato premier. Un argomento usato per tranquillizzare nel pomeriggio, in una riunione di renziani al Senato, quei senatori preoccupati dalle voci di un disimpegno dell'ex premier.

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