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"Usava Facebook mentre era ai domiciliari": 40enne siciliano in carcere

ROMA. Il divieto di comunicare con le altre persone, misura che di regola si applica a tutti i condannati o gli indagati che si trovano in stato di detenzione domiciliare, vale anche per l'utilizzo dei social network, compreso Facebook che può diventare un mezzo intimidatorio «rafforzato dalle coloratissime emoticon» e dai toni 'criptici'. Lo sottolinea la Cassazione che ha confermato la revoca della detenzione domiciliare nei confronti di un quarantenne siciliano, Gianluca G. - indagato per azioni commesse ai danni di una vittima che sottoponeva a soprusi e minacce - perché aveva pubblicato un messaggio su Facebook che poteva essere letto in chiave intimidatoria verso l'uomo vessato dai suoi comportamenti.

Nei confronti dell'indagato è stata dunque applicata la custodia cautelare in carcere, provvedimento disposto dal gip di Ragusa e convalidato dal Tribunale del riesame di Catania. Senza successo Gianluca G. ha fatto ricorso alla Suprema Corte sostenendo che un messaggio su Fb non è un fatto così trasgressivo da meritare l'aggravamento della misura detentiva, inasprendo i domiciliari con il rigore della cella.

«La prescrizione di non comunicare con persone estranee deve essere inteso nel senso di un divieto non solo di parlare con persone non conviventi, ma anche di stabilire contatti con altri soggetti, sia vocali che a mezzo di congegni elettronici», rileva la Cassazione nel verdetto 46874 depositato oggi.

«Il messaggio diffuso sul social network, peraltro, è oggettivamente criptico per i più ed indirizzato a chi può comprendere perchè sottintende qualcosa di riservato e conosciuto da una ristretta cerchia di persone ed è chiaramente intimidatorio, a dispetto del tono volutamente suggestivo, rafforzato dalle coloratissime emoticon, ancora più esplicitamente intimdidatorie», concludono gli 'ermellinì lasciando Gianluca G. in carcere, unico luogo adeguato a impedire che utilizzi i social per fare pressioni sull'uomo che lo aveva denunciato perchè stanco di subire.

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