Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Iraq, tra le donne e i bimbi scampati all'Isis: il viaggio nel campo profughi

DIBAGA. I seguaci di Abu Bakr al Baghdadi «avevano la barba e i capelli lunghi. Si vestivano di nero. Per tre anni non ci hanno fatto andare a scuola». Lo raccontano all'Ansa due bambine, di 10 e 8 anni, nate nel carcere a cielo aperto di Hawija, l'inferno Isis a 140 chilometri a sud di Erbil. Ora le piccole, assieme a centinaia e centinaia di coetanei, sono ospitate nel campo profughi di Dibaga, una quarantina di chilometri da Hawija, dove l'Ong 'Un Ponte per...' Iraq ha avviato un progetto di sostegno psicologico e di assistenza rivolto in particolare alle donne, finanziato dalla Cooperazione italiana.

«Ci occupiamo di salute legata alle problematiche sessuali, alle diagnosi pre-natale e alla contraccezione», spiega la dottoressa a bordo del pullmino che da Erbil è diretto a Dibaga. È accompagnata da un team di quattro donne, due infermiere, una psicologa, una 'facilitatrice', che aiuta le altre negli incontri nei campi profughi. Sul fronte contraccezione, «proponiamo la pillola, i profilattici.

Il problema è che nella cultura irachena avere molti figli, soprattutto maschi, per una donna è simbolo di forza. Poi hanno una concezione sbagliata di queste cose, pensano non siano efficaci, oppure che causino malattie gravissime, come il cancro», continua la dottoressa. In Iraq, in tutto il Paese, «nessuno si è mai lamentato o ha protestato. Il problema è solo quello di spiegare bene come stanno le cose.

Nelle ultime settimane siamo passati da una trentina di richiesta a circa 50. Stiamo facendo progressi», dice soddisfatta. E l'Isis? «Quello che abbiamo appreso dalla nostre pazienti è che nei territori controllati dai jihadisti la contraccezione è proibita». In alcuni casi «vengono usati i profilattici con le schiave del sesso, un fenomeno che purtroppo dobbiamo confermare». Il campo di Dibaga ospita oltre trentamila persone.

Le donne sono quasi il 40%, ovvero 17.000. Poi ci sono i bambini, tantissimi, che hanno bisogno di aiuto. In altri campi, per i giovani, 'Un Ponte per...' Iraq ha messo in campo progetti per farli tornare alla 'routinè della quotidianità. Quello dove arriva il pullmino delle dottoresse si chiama «Lo stadio» perché sorge in uno stadio di calcio con tanto di tribune in cemento adattato a campo profughi. «Noi seguiamo questa emergenza sin dal primo momento», spiega Giulia Cappellazzi, originaria di Crema, capo missione dell'Ong in Iraq.

«L'ong è nata a Baghdad 25 anni fa, e questo ci permette oggi di poter contare su una vasta rete di contatti e sostegno». Il progetto dell'unità mobile che trasporta le dottoresse si chiama «Zhyan», è stato finanziato dalla Cooperazione italiana che assicura alla popolazione anche quattro cliniche nel governatorato di Erbil.

Caricamento commenti

Commenta la notizia