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Scontro nella minoranza Pd, Cuperlo a Bersani: "Così non mi aiuti"

ROMA. «Il film delle europee e del 40% è finito»: parola di Pierluigi Bersani che ha spiegato la strategia per il dopo referendum, per il quale punta ad una vittoria del «No», così da tornare ad un modello di partito e a una coalizione tradizionali, mettendo nel cassetto la vocazione maggioritaria e le primarie. Una proposta che provoca la replica sdegnata dei renziani e il no delle altre componenti Dem, tanto che Matteo Orfini, definisce «incendiarie» le sue parole. Il Pd di Renzi alle europee del 2014, dice Bersani, prese sì il 40%, ma perchè quella «era solo un'amichevole e i voti di destra sono arrivati per questo. La Ditta è il centrosinistra, di cui il Pd deve essere la principale infrastruttura»: insomma il tradizionale centrosinistra, anzi centro-sinistra «col trattino».

Il partito a vocazione maggioritaria di Veltroni o il Partito della nazione di Renzi sono un'illusione. A coalizione tradizionale corrisponde un modello di partito tradizionale, basato sugli iscritti, a cui spetterà il potere di eleggere il segretario, mentre le primarie andranno usate solo per scegliere il candidato premier di coalizione. Ma tutto questo percorso passa per la vittoria del «No» al referendum, cosa che spacca anche la minoranza interna del Pd, con Gianni Cuperlo ancora impegnato nella Commissione del Pd per trovare un'intesa sulle modifiche all'Italicum, che porterebbe ad appoggiare il «Si». Il bersaniano Federico Fornaro non ha dubbi: «Il tempo è scaduto per farci cambiare posizione sul referendum» e il tentativo di Cuperlo è «un contributo utile alla discussione e nulla più». Parole, analoghe a quelle di altri esponenti bersaniani dei giorni scorsi, che mirano a far pressione su Cuperlo perchè si allinei sul «No» il 4 dicembre.

Scenario su cui però molti parlamentari delle due minoranze, bersaniana e cuperliana, hanno detto di non volersi allineare: più d'uno ha annunciato il proprio «Sì». E su Cuperlo arriva la pressione anche di Massimo D'Alema: «Ho grande stima per lui ma è evidente che chi è contro l'Italicum vota »No«». E su un partito che ridia agli iscritti il potere esclusivo di eleggere il segretario, è d'accordo Vannino Chiti, che pure voterà «Sì» il 4 dicembre. A suo giudizio, in questo modo si potrebbe «valorizzare il ruolo della militanza». Ma il resto del partito è contrario: «Il Pd senza le primarie non sarebbe più il Pd» osserva Matteo Orfini, che renziano non è. Infatti «Se la carica di segretario coincide con quella di candidato premier, allora deve avere una legittimazione ampia, con le primarie». Ma il modello dalemiano-bersaniano prevede un candidato premier scelto dalla coalizione e non dal partito.

Il renziano Dario Parrini attacca: «Bersani dopo il ritorno ad una bella dose di proporzionale chiede il ritorno al segretario Pd eletto solo dagli iscritti. Il suo omaggio ai pilastri partitocratici della Prima Repubblica ha il pregio della chiarezza. Si aspira alla restaurazione». Un «impossibile ritorno al passato» aggiunge Andrea Marcucci. Anche perchè in questo modo, osserva Orfini, con la vittoria del «No» finirebbe non solo Renzi ma il Pd: «Bersani anzichè fare il tifo per i tentativi di tenere unito il partito fa interviste incendiarie, che non sono nello stile dell'uomo». Come a dire che anche in questo è stato influenzato da altri. E a fine giornata anche uno spazientito Cuperlo fa sentire la sua voce: «Da parte di tutti servono gli estintori perchè alimentare l'incendio non aiuta. Anche così si può ricostruire un centrosinistra di governo, condizione per me decisiva per lo stesso futuro del Pd».

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