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Blitz di mafia a Corleone, la diplomazia del nipote di Provenzano per riorganizzare il clan

CARMELO GARIFFO

PALERMO. C’era fermento a Corleone. Carmelo Gariffo, nipote di Bernardo Provenzano, stava riorganizzando il clan nel 2014 ma non voleva arrivare allo scontro con i Lo Bue, reggenti in quel periodo, pur essendo tentato dalle maniere forti. “Con tutto quello che ho sentito – diceva a Antonino Di Marco (anche lui arrestato nell’operazione Grande Passo 4)  - mi dovrei mettere due pezzi di ferro in tasca e dove arriverei ci metterei una canna”.

Allo stesso modo, però, ricordava di essere stato educato da suo zio Bernardo Provenzano , il quale da sempre aveva preferito l’uso della democrazia: “Allora, siccome però la mia scuola non è questa, la mia scuola è un’altra…”. Di Marco, che voleva spodestare i Lo Bue, aveva parlato anche con Angelo Provenzano per dirgli di inserirsi all’interno dell’organizzazione per non lasciare margine alle altre famiglie mafiose.

Ma Angelo non sarebbe stato in grado di schierarsi senza il permesso specifico di qualcuno, probabilmente il padre. “…Volutamente perché mentre c’è stato mio zio presente, i suoi figli era giusto che si stavano a posto loro e devono stare a posto, perché basta uno non c’è bisogno di cento”.

“Dai miei cugini – spiegava Gariffo – sento solo lamentele che non si vogliono interessare a nessuna cosa, che da un lato è buono e da un altro lato è brutto… mi sembra che ognuno, per come la fa, per come la pensa la fa.. ma questo discorso non mi porta lontano a nessuno”.

Nonostante la rabbia per quello che stava succedendo nel clan, però, Gariffo torna a parlare di diplomazia. “Noi altri dobbiamo andare tutti con i piedi di piombo e cercando di dare noi una regolata agli altri, la regolata che la dobbiamo dare noi altri, cercando di stare attenti, di non fare discorsi persi e fare discorsi quando è giusto farli e come farli, ma lasciando il tempo che ci vuole perché la quartara va all’acqua”.

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