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Editoria, ok unanime del Senato al taglio degli stipendi Rai

ROMA. Un sì compatto dell'Aula del Senato, con 237 voti, reintroduce il tetto agli stipendi della Rai: massimo 240 mila euro, per amministratori, dipendenti e consulenti. Con una sola astensione, polemica, di M5S, maggioranza e opposizione approvano l'emendamento del relatore al ddl editoria, il Pd Roberto Cociancich, pressochè identico a quello di Roberto Calderoli (Ln), anche questo messo ai voti.

Il limite non potrà essere superato neanche in caso di emissione di bond da parte dell'azienda. Il governo benedice l'operazione, in attesa del voto finale a Palazzo Madama atteso per domani mattina, e ammonisce la Rai ad intervenire al più presto: «Se non ci sono rapidamente soluzioni convincenti, definitive ed in linea con lo stato d'animo del paese, nessuno deve aver dubbi che Renzi interverrà in legge di stabilità e metterà la parola fine a questa storia», avverte il sottosegretario Giacomelli. Lo stop agli stipendi d'oro mette d'accordo l'Aula di Palazzo Madama che ieri invece si era spaccata su un altro emendamento, sempre a firma Calderoli, che prevedeva l'esclusione dai contributi pubblici delle aziende editoriali con personale e consulenti oltre il tetto dei 240 mila euro.

Una norma approvata poi oggi, ma ampiamente 'annacquatà: i fondi saranno ridotti in proporzione ai compensi di personale, collaboratori e amministratori che sforino il limite. Mentre al Senato scatta la 'garà alla paternità della norma sugli stipendi Rai - rivendicata da Lega, M5S e Forza Italia che avevano presentato emendamenti analoghi - il cda, riunito a Viale Mazzini, avvia il percorso di autoregolamentazione dei compensi, annunciato dal dg Antonio Campo dall'Orto in Vigilanza prima della pausa estiva: tetto di 240 mila euro per le figure apicali, più una percentuale non superiore al 30% come indennità di funzione e di rischio per i contratti a termine. Un intervento ad ampio raggio se - come risulta dal piano trasparenza - sono 94 i dipendenti della tv pubblica che superano il tetto (dai 650 mila euro del dg ai 270 mila della presidente Maggioni, ai 300 mila dei direttori di Rai2 e Rai3 Dallatana e Bignardi). «Si tratta della della chiara volontà dell'azienda di intervenire con una precisa regolamentazione che limiti il numero delle retribuzioni elevate, che tenga conto dell'indicazione dei tetti, ma al tempo stesso preservi il valore e la capacità operativa ed attrattiva dell'azienda», chiosa Viale Mazzini.

Molti senatori guardano con favore all'avvio di questo percorso, auspicando che non si sollevi l'eccezione che la norma votata oggi non abbia carattere retroattivo. «Sono certo, quanto meno per decenza, che entro l'approvazione definitiva da parte della Camera i vertici Rai si taglino lo stipendio per rientrare nel tetto dei 240 mila euro», dice Maurizio Gasparri (FI). Il percorso, comunque, non sarà semplice, anche perchè «bisognerà fare i conti con i contratti collettivi e i diritti acquisiti», spiega il consigliere Arturo Diaconale, mentre il collega di cda Franco Siddi, pur sostenendo il no agli stipendi d'oro, intravede il rischio «che la norma possa penalizzare la Rai rispetto ai competitor privati». «Per la Rai è la fine del Bengodi», gongola Calderoli, mentre i Cinque Stelle rivendicano di aver condotto la battaglia «per primi». «Che il Pd si intesti questa vittoria è inaudito», sbotta in Aula Alberto Airola (M5S), mentre Giovanni Endrizzi si astiene «per lasciare ai Dem tutto il merito di passare la paletta là dove noi abbiamo indicato di pulire». Giacomelli non ci sta: «Se discutiamo di retribuzioni è perchè noi, governo e maggioranza, abbiamo voluto il piano trasparenza. Ricordo che un autorevole esponente come Brunetta ha chiesto questa misura al suo governo ma è rimasto inascoltato. E anche la Vigilanza ha assunto all'unanimità un'indicazione in questo senso».  Il testo del ddl, una volta approvato dal Senato, dovrà comunque tornare a Montecitorio per confermare le modifiche apportate dalla camera Alta.

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