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I pittori della luce, quei divisionisti che anticiparono il Futurismo - Foto

ROVERETO. E luce fu. Abbagliante, sfolgorante, accecante e, soprattutto, radiosa. Come la stagione della pittura italiana che, tra l’Otto e Novecento, vide molti artisti sdoganarsi dal verismo per tendere verso la modernità ancor prima che facessero il loro ingresso i Futuristi.

È la bellezza de «I pittori della luce. Dal Divisionismo al Futurismo», in mostra al Mart di Rovereto (Trento) fino al 9 ottobre.

L’esposizione, realizzata in coproduzione con la Fundaciòn Mapfre, è curata da Beatrice Avanzi (Musée d’Orsay), Daniela Ferrari (Mart) e Fernando Mazzocca (Università degli studi di Milano). Sei sezioni cronologiche e tematiche per ottanta opere in mostra, provenienti dal Mart e da prestigiosi prestiti pubblici e privati, per ricostruire i legami tra due generazioni di artisti (divisionisti e futuristi) che abbagliarono per l’uso dei colori scomposti e divisi come se la tela avesse il morbillo, per la volontà di svecchiare i realismi delle scuole regionali e che segnarono la nascita della moderna stagione della pittura in Italia.

Da Giovanni Segantini, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Baldassare Longoni, Angelo Morbelli, Gaetano Previati fino a Giacomo Balla, Umberto Boccioni e Gino Severini ovvero dalla luce della natura al futurismo passando per l’impegno sociale dell’arte.

Lo storico dell’arte Fernando Mazzocca ci aiuta a comprendere meglio i protagonisti di questa rivoluzione pittorica.

Qual era il cuore del dibattito artistico in Europa sul finire del XIX secolo?

«Il superamento delle esperienze del realismo e del naturalismo, che avevano avuto la loro manifestazione più innovativa nell’Impressionismo, un movimento le cui conseguenze, del resto, andranno a sfociare proprio nel Divisionismo e nelle sperimentazioni più avanzate. Ma il clima artistico è pervaso anche da sentimenti di incertezza rispetto all’ideologia del positivismo che aveva dominato gli anni precedenti».

Ma sono anche gli anni scintillanti della Belle Epoque…

«E anche di quelli inquieti del Decadentismo: convivono una visione solare e una oscura, la luce e le tenebre. La tragedia della Prima Guerra mondiale vedrà il prevalere di quest’ultime».

L’innovativo sguardo del movimento divisionista è figlio solo delle nuove scoperte scientifiche dell’epoca?

«La pittura di luce elaborata dai divisionisti, ciascuno a suo modo, ha sicuramente basi teoriche di carattere scientifico».

E cosa lo trasformerà in futurismo?

«Tutti i futuristi, in particolare Balla, Boccioni e Severini, hanno avuto una formazione divisionista di cui hanno accentuato la potenza visionaria, procedendo oltre nel superamento della rappresentazione realistica, oggettiva della realtà, per arrivare progressivamente a un’astrazione dove la natura è completamente trasfigurata».

Il divisionismo ha guardato più al vero o al simbolo? O ai temi sociali come Pellizza da Volpedo?

«Il vero non è mai reso nella sua oggettività e si cerca di andare oltre la semplice rappresentazione della natura per renderne l’anima in un sentimento cosmico sempre più diffuso. I confini tra verità e simbolo sono davvero molto labili: è sempre il secondo a prevalere. Se, invece, si passa all’ osservazione della società prevale un sentimento di denuncia delle ingiustizie ma anche la volontà di capire se esiste un senso della vita, del dolore e della morte».

Quindi, come interpretare il «Quarto stato»?

«Come una grandiosa allegoria della condizione degli umili, la stessa che era al centro delle osservazioni dei letterati, se pensiamo a Verga o al giovane Pirandello».

Qual è l’importanza di «Maternità» di Previati?

«Presentata all’Esposizione triennale di Brera del 1891, rassegna che inaugura il divisionismo, “Maternità” suscitò enorme scandalo per il suo linguaggio visionario che rappresentava una svolta decisiva rispetto al dominante naturalismo. In quest’opera, il vero manifesto del Simbolismo italiano, viene rappresentato l’irrapresentabile ovvero il mistero della maternità, della creazione che presiede alla vita e domina il mondo. E lo stile innovativo, sfiora l’astrazione».

Qualità visionarie anti-naturalistiche, luce abbagliante che si espande dal centro come in altre opere, «Madonna dei gigli», «Il carro del sole» e «La danza delle ore».

«A partire da “Maternità”, Previati si converte alla tecnica divisionista e segue un percorso sempre più simbolista, dominato dal motivo della rappresentazione della luce e delle tenebre che troviamo in questi capolavori. Soprattutto “Danza delle ore”, rappresentazione del tempo Visto come principio che scandisce l’esistenza del mondo».

Perché il Divisionismo non può definirsi movimento? Solo perché i suoi artisti non scrissero mai un manifesto?

«Il Divisionismo italiano, a differenza di quanto avverrà per il Futurismo, non si è mai riconosciuto in un manifesto e i suoi protagonisti non hanno mai costituito un gruppo. Anche se, ad un certo punto, pensarono di portare avanti una lotta comune per essere riconosciuti. Se esaminiamo, l’una accanto all’altra come avviene in questa mostra al Mart di Rovereto, le varie opere di Segantini ci accorgiamo che ognuno ha voluto conservare la propria individualità. È proprio quest’originalità, e non l’omologazione in un linguaggio comune, a costituire il fascino del Divisionismo italiano».

Lei parla anche di «controversa affermazione del divisionismo»…

«Perché ha faticato ad affermarsi, soprattutto nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Fu combattuto dalla critica e osteggiato dal pubblico che aveva gusti tradizionali e preferiva le opere più figurative dei simbolisti dannunziani come Sartorio e De Carolis, che si ispiravano al Rinascimento. I Divisionisti, dopo tante battaglie, riuscirono ad affermarsi alla Biennale di Venezia del 1907».

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