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Legge elettrale, il 40% dei voti per diventare sindaco ma cala il quorum per la sfiducia

PALERMO. Dopo un lungo scontro l’Ars ha votato le ultime norme della riforma elettorale per i Comuni.
In apertura dei lavori Forza Italia, Lista Musumeci e grillini hanno chiesto di bloccare tutto e rinviare il testo a settembre, complice la mancanza di accordi fra i partiti. Ma il Parlamento, chiamato a votare sulla proposta, ha deciso di andare avanti sulla riforma elettorale.

Il primo articolo al voto è stata quella che riguarda la mozione di sfiducia. Bocciata - su proposta di Giovanni Panepinto del Pd - la norma che avrebbe provocato la decadenza del sindaco e dunque nuove elezioni nel caso in cui non venga approvato il bilancio. Era una norma molto contestata dall’Anci, che avrebbe provocato un terremoto visto che quest’anno in ben 347 Comuni su 390 il bilancio non è stato approvato.

Approvato l’articolo che modifica il quorum necessario per la mozione di sfiducia contro il sindaco. Fino ad oggi per mandare a casa il primo cittadino serviva il voto dei due terzi del consiglio comunale mentre con la norma appena approvata si scende al 60% dei consiglieri. Il voto in consiglio deve essere espresso per appello nominale.
È una norma che indebolisce il primo cittadino, almeno nei rapporti di forza con i partiti. E per questo motivo era stata molto contestata dall’Anci, l’associazione dei sindaci.

Le norme più importanti erano state approvate la scorsa settimana: la riduzione dal 50 al 40% della soglia per i ballottaggi con l'elezione dunque al primo turno del candidato sindaco e il premio di maggioranza per le liste collegate. Come contrappeso, la riforma modifica il quorum necessario per la mozione di sfiducia al sindaco: basterà il 60% dei consiglieri per mandare a casa il sindaco anziché i due terzi del consiglio comunale. Gli articoli del ddl sono stati tutti approvati e l'aula è stata rinviata a domani per il voto finale al testo.

Prima del voto finale, l'Assemblea domani esaminerà il fascicolo degli emendamenti aggiuntivi, tra cui quello che prevede l'abolizione della norma sulla doppia preferenza di genere, prevedendo nelle liste il 50% di donne e il 50% di uomini. Un nodo, questo che preoccupa non poco la maggioranza. L'ipotesi dell'eliminazione della doppia preferenza di genere nei giorni scorsi ha suscitato le reazioni sdegnate del ministro Maria Elena Boschi e del presidente della Camera Laura Boldrini.

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