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Guerra all'Ars sulla legge elettorale per i Comuni, scontro su "effetto trascinamento"

PALERMO. Il primo effetto del terremoto post-Amministrative è una guerra all’Ars per modificare la legge elettorale per i Comuni. Ed è una guerra che spacca profondamente le coalizioni e lo stesso Pd, dove si ripropone il braccio di ferro fra renziani e minoranza. Da oggi pomeriggio il via alle votazioni.

Oggetto dello scontro è soprattutto la norma che reintroduce l’effetto trascinamento. Significa che votando un partito il consenso si estende automaticamente anche al candidato sindaco collegato a quel partito. Oggi invece se si mette la croce su un simbolo il voto è limitato al partito e per votare anche il candidato bisogna mettere un altro segno sul suo nome.

Il sistema in vigore è quello che ha favorito Orlando nelle ultime elezioni a Palermo. Ma ha aiutato anche altri sindaci non del Pd e per questo motivo l’ala renziana – guidata in aula da Luca Sammartino e Valeria Sudano - vorrebbe cambiare. Scettici invece i deputati della minoranza, da Antonello Cracolici a Giovanni Panepinto e Mariella Maggio.  Anche perché l’effetto trascinamento in passato è stato l’arma in più di Cammarata a Palermo negli anni in cui il simbolo di Forza Italia spostava percentuali a due cifre.

Ma il teso all’esame dell’Ars prevede anche – sempre su spinta renziana – di abbassare la quota necessaria a sfiducia i sindaci in consiglio comunale. Oggi serve genericamente che i due terzi del consiglio votino contro il primo cittadino. Se la riforma passasse, nei grandi centri con più di 10 mila abitanti, basterebbe il 60% dei consiglieri per mandare a casa il sindaco. E – sussurrano all’Ars – a norma approvata nel Catanese sarebbero già pronti gli agguati a vari primi cittadini fra cui quello di Misterbianco.

Infine, la legge in cantiere prevede che dopo le elezioni il candidato sindaco sconfitto entri di diritto in consiglio comunale per rappresentare l’opposizione, un po’ come avviene all’Ars.

La norma sta andando avanti fra le polemiche. Ieri i lavori sono stati sospesi per via di una valanga di emendamenti che hanno complicato ancora di più la ricerca degli equilibri politici. I più contestati sono stati quello del Pdr di Michele Cimino che punta a introdurre il terzo mandato e quello trasversale con cui si vorrebbe abolire il voto di genere, cioè l’obbligo di indicare due candidati di sesso diverso. Contro questa norma si è schierato il fronte femminile del Pd, Marika Cirone, Mariella Maggio, Antonella Milazzo, Concetta Raia e  Valeria Sudano:  “Inaccettabile andare contro la legislazione nazionale, sempre più dichiaratemente paritaria”. La norma è stata appena approvata col sostegno di grillini e Forza Italia in commissione Affari istituzionali, riunita per deliberare sugli emendamenti prima del voto d’aula del pomeriggio. E per questo motivo anche al Comune di Palermo è già scoppiata la rivolta delle donne: “E’ un gravissimo passo indietro – commentano Alessandra Veronese (Mov 139) e Antonella Monastra del Pd -. Evidentemente ha prevalso una culttura retrograda che vede nel sostegno alle donne la sottrazione di spazi di potere”.

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