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Hillary trionfa in California: è la prima donna nella storia americana

WASHINGTON. Con l'inattesa vittoria schiacciante che si profila in California, lo stato più popoloso, ricco e culturalmente influente degli Usa, e il bersaglio più grosso (con i suoi 475 delegati) di questo ultimo super tuesday delle presidenziali, Hillary suggella trionfalmente la conquista di una storica nomination, la prima di una donna nei 240 anni della democrazia americana.

Con il 39% dei voti scrutinati, l'ex first lady è avanti 60,1% a 38,9%. La posta in palio in questa tornata non era la vittoria finale dell'ex segretario di Stato, ormai scontata nei numeri, superiori anche a quelli che separarono Barack Obama da Hillary nel 2008, ma una convincente dimostrazione di forza e di superiorità nel Golden State per seppellire definitivamente le velleità di Bernie Sanders di un ribaltone alla convention di luglio, con un cambiamento di fronte dei superdelegati. E Hillary ha dato il meglio di se stessa, vincendo non solo in California ma anche in tre degli altri cinque Stati chiamati al voto (New Jersey, New Mexico e South Dakota), cedendo a Sanders solo il Montana e il North Dakota (caucus).

Insomma, un finale di partita che non lascia adito a dubbi, tanto che già in serata il presidente Barack Obama, ormai prossimo a dare il suo endorsement al suo ex segretario di stato, ha telefonato ad entrambi per unire ora il partito. Giovedì vedrà Sanders, che però questa sera, pur ribadendo di voler impedire l'elezione di Donald Trump, ha annunciato che la sua lotta continuerà sino alle ultime primarie a Washington Dc e poi alla convention.

Quando Hillary è comparsa vestita tutta di bianco al Brooklyn Navy Yard di New York, la folla dei fan è andata in delirio e lei è ha sprizzato felicità e orgoglio, tendendo nuovamente la mano al senatore del Vermont e attaccando il suo futuro rivale Donald Trump. «Grazie a tutti, abbiamo raggiunto una pietra miliare, è la prima volta nella storia della nostra nazione che una donna sarà la candidata di un grande partito», ha esordito toccando le corde dell'elettorato femminile, dove Trump è debolissimo.

«La vittoria di questa notte non è di una persona sola, appartiene a generazioni di donne e di uomini che si sono battuti e si sono sacrificati e hanno reso possibile questo momento», ha proseguito. «Finalmente abbiamo infranto uno dei soffitti di cristallo più alti e più duri in America», ha sottolineato, rievocando quello stesso soffitto che nel 2008 era stato solo scalfito, avendo dovuto cedere il passo tra le lacrime a Barack Obama. Ma lei ha saputo aspettare e rialzarsi e stasera ha assaporato la rivincita senza recriminazioni ma abbracciando il marito Bill e guardando avanti: alla sfida che l'attende e che richiede il sostegno anche di Sanders. Per questo si è complimenta con lui «per la sua straordinaria campagna», per aver portato milioni di nuovi elettori, soprattutto giovani, per «il dibattito vigoroso che ha sollevato sulle ineguaglianze e che è stato positivo per il partito democratico». E ha sferrato anche un nuovo attacco al «divisivo» Trump, «caratterialmente inadatto a fare il presidente e il commander in chief».

Ma il tycoon ha già dato fuoco alle polveri del futuro duello. «Questa sera chiudiamo un capitolo di Storia e ne apriamo un altro», ha esordito vantando a suo modo anche lui un merito storico per aver raccolto un numero record di voti nelle primarie repubblicane. Poi si è lanciato a testa bassa contro Obama e Hillary, «estensione dei disastri del presidente», colei che ha «trasformato il dipartimento di stato nel suo hedge fund privato». E contro i Clinton, che hanno «trasformato la politica dell'arricchimento personale in una forma d'arte per se stessi». Il tycoon ha promesso altre accuse contro l'ex coppia presidenziale lunedì prossimo ma per ora appare in difficoltà. Anche se stasera ha vinto i sei stati con percentuali sopra il 67%, nel partito sta crescendo la protesta per le sue dichiarazioni contro il giudice «messicano» dell'inchiesta contro la sua università, unico vero ostacolo nella sua corsa alla Casa Bianca. Commenti definiti «razzismo da manuale» dallo speaker della Camera Paul Ryan, che sta facendo acrobazie per non spaccare il partito. Ma alcuni governatori e senatori già hanno annunciato che non voteranno più per il magnate.

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