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I racconti dei migranti superstiti: bimbi morti davanti ai nostri occhi

ROMA. I racconti dei sopravvissuti all'ennesima tragedia del mare nel Canale di Sicilia fanno rabbrividire. "C'erano almeno 40 bambini in acqua e nessuno si è salvato. Il capitano, nonostante le centinaia di persone in mare, li ha abbandonati lì, lasciandoli annegare uno dopo l'altro". E' successo nel naufragio avvenuto giovedì al largo della Libia.

Il racconto do chi è riuscito a sopravvivere è un concentrato di disperazione e infamia. "Siamo partiti da Sabratha, in Libia, la notte tra il 25 e il 26 maggio, su due barconi carichi ognuno di 500 persone. I pescherecci erano ancorati al largo, ci hanno trasferito dalla spiaggia a gruppi di 50, con dei gommoni".

La legge dei barconi è sempre la stessa: chi paga di più ha diritto a stare in coperta, e ad avere una speranza di salvarsi se le cose vanno male; chi non ha soldi a sufficienza finisce invece nella stiva, stipato come sardine. In quel caso la morte è certa. Sul fondo del canale di Sicilia ci sono decine di barconi dove uomini, donne e bambini sono ancora accatastati uno sull'altro.

Uno di questi, quello naufragato ad aprile del 2015 con quasi 700 a bordo, il governo ha deciso di riportarlo a galla, per dare un'identità e una sepoltura ai migranti. Ma finora i tentativi sono andati a vuoto e il peschereccio è ancora in fondo al mare. Mercoledì notte inizia dunque il viaggio verso l'Italia. Il primo peschereccio accende il motore e punta la prua verso la Sicilia, trainando l'altra imbarcazione con una fune. "Dopo circa 8 ore di navigazione - hanno raccontato ancora i sopravvissuti - il peschereccio trainato ha iniziato ad imbarcare acqua. Abbiamo fatto una catena umana, provando in tutti i modi a svuotare il peschereccio".

Una catena umana nel buio assoluto per continuare a vivere, 500 persone terrorizzate che tentavano di svuotare il mare con una decina di taniche da 5 litri. E con le mani. L'incubo è durato un'ora e mezza, con il peschereccio che andava sempre più giù. Poi la fine. "Quando la barca era quasi tutta sotto il pelo dell'acqua, il capitano ha ordinato ai passeggeri di tagliare la cima che serviva per trainare".

Il capitano, secondo gli uomini della squadra Mobile di Ragusa, è Adam Sarik, un sudanese di 29 anni. C'era lui al timone e potrebbe essere uno degli scafisti appartenenti ad una delle tante organizzazioni che operano indisturbate nella Libia senza alcun controllo. I poliziotti di Ragusa ne hanno già arrestati 62 dall'inizio dell'anno, 19 dei quali minorenni. Ma potrebbe anche essere uno dei tanti disperati che, per pagarsi il viaggio, accetta di condurre le barche della morte verso l'Italia. E' già successo in passato e le inchieste delle procure siciliane lo hanno documentato più volte. La fune è stata così tagliata "e come una fionda ha colpito violentemente una donna. Abbiamo provato a salvarla ma non c'era niente da fare".

La donna è solo la prima vittima di quella notte maledetta. "Una volta tagliata la fune - hanno infatti spiegato i sopravvissuti - i migranti che erano in coperta si sono gettati in mare, ma i circa trecento che erano nella stiva sono colati a picco". E i 200 che erano in coperta? Una novantina sono stati salvati da una nave spagnola (il che fa supporre che si tratti dello barcone naufragato individuato giovedì mattina da un aereo di Eunavformed), mentre un'altra decina sarebbero riusciti a salire sul primo peschereccio aggrappandosi alla fune che era stata utilizzata per il traino. Tutti gli altri sono andati a fondo, insieme ai 40 bambini. "Nessuno di loro è stato salvato. Il capitano ha abbandonato la zona e li ha lasciati annegare".

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