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Rush finale per le riforme, ma per il governo il percorso è a ostacoli fino alle amministrative

ROMA. Un percorso minato per governo e  maggioranza quello dei prossimi due mesi: le date cerchiate in rosso sull'agenda del governo sono una dietro l'altra e destinate a segnare uno spartiacque politico. C'è un passaggio «storico» che avrà inizio domani 11 aprile nell'aula della Camera ed è la riforma costituzionale giunta ormai al traguardo della sesta e ultima lettura. Le opposizioni sono già sulle barricate per guastare la festa, ma ha già fatto sapere il capogruppo Pd Ettore Rosato «useremo tutti i mezzi regolamentari a disposizione per chiudere il capitolo riforme».

Domani dunque circa undici ore di dibattito generale e subito dopo, attorno alle 18 la replica in Aula dello stesso Renzi. Bellicosi i 5 stelle che si sono appellati prima al capo dello Stato, poi ai presidenti delle Camere, per far slittare l'approvazione della riforma costituzionale a dopo il voto sulle mozioni di sfiducia. «Aspettiamo che entro domani mattina Mattarella ci risponda e ci incontri», ha detto il capogruppo M5s alla Camera Michele Dell'Orco. Ma per Renzi la tabella di marcia è già fissata: entro mercoledì 13 al più tardi sulle riforme si chiude.

Altri temi caldi le intercettazioni e il conflitto di interessi. Da martedì 12 aprile in commissione Giustizia del Senato si dovrebbe tornare a parlare di riforma del processo penale (al cui interno c'è il capitolo intercettazioni) ma già si ipotizza uno slittamento dei tempi (almeno a dopo il referendum dicono dal governo). Per il conflitto di interessi, invece, si va verso la calendarizzazione in aula.

Si avvicina la scadenza di domenica 17 aprile, quando il paese sarà chiamato a pronunciarsi sul referendum anti-trivelle inviso dal premier che punta su un esito «fallimentare». Un altro passaggio-chiave per l'esecutivo dato che Renzi non ha esitato a metterci la faccia convinto di avere dalla sua solide ragioni che ha voluto contrapporre a quelle dei governatori promotori, degli ambientalisti e soprattutto dei 5 stelle che su questo referendum hanno costruito una campagna contro «trivellopoli» e contro il governo dalle «mani sporche di petrolio», per l'inchiesta di Potenza.

E quasi senza soluzione di continuità, dopo 48 ore, martedì 19 aprile, al Senato si aprono le danze sulle due mozioni di sfiducia al governo presentate separatamente da M5s e dal centrodestra (Fi-Lega-Cor). I documenti fanno seguito proprio al caso dell'inchiesta sul petrolio che ha portato alle dimissioni della ministra Federica Guidi. Il premier non dà mostra di preoccupazione alcuna («il Parlamento non ci manderà a casa neanche questa volta»). Alle dichiarazioni di guerra delle opposizioni, si contrappone il realismo politico di chi vede con scetticismo la possibilità che i parlamentari decidano di fare le valigie anzitempo. Intanto, però, va avanti la guerriglia delle dichiarazioni incrociate tra M5s e Lega che si dicono pronti a votare le reciproche mozioni di sfiducia.

Quello che sembra impensierire di più Renzi è piuttosto il passaggio elettorale delle amministrative del 5 giugno. Non si annuncia facile vincere le sfide di Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, per dire alcune delle più importanti città al voto. E dalle opposizioni già intonano il «de profundis» per  governo e maggioranza, convinti che per Renzi e i suoi sarà un flop elettorale. Per i 5 stelle sicuramente si tratta di un test nazionale: «Se vinciamo nelle grandi città dritti alle elezioni politiche», ha avvisato Luigi Di Maio.

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