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Referendum sulle trivelle, in ballo la scadenza delle attività

ROMA. Domenica 17 aprile gli italiani saranno chiamati ad esprimersi su un referendum sulle trivelle promosso da 9 consigli regionali (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise; in un primo momento figurava anche l'Abruzzo che però si è ritirato) sostenuti da alcune associazioni e movimenti in difesa per l'ambiente, tra cui il coordinamento No Triv.

Sul quesito abrogativo pesa, com'è noto, la spada di Damocle del quorum, quindi affinché il risultato possa essere valido dovrà essere votato dal 50% degli italiani più uno degli aventi diritto, secondo quanto previsto dall'articolo 75 della Costituzione.

Un'eventuale vittoria del sì stopperà le concessioni per estrarre gas o petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana alla scadenza dei contratti. Di fatto, quindi, il quesito referendario non coinvolgerà le 106 piattaforme petrolifere attive lungo le nostre coste per l'estrazione di petrolio o metano. Sono invece coinvolti dall'esito referendario gli impianti di Guendalina (Eni) nell'Adriatico, il Gospo (Edison), anch'esso nell'Adriatico e il giacimento Vega (Edison) di fronte a Ragusa.

Il quesito, com'è noto, è il solo rimasto in campo tra i sei promossi dai 10 consigli regionali, dopo che il movimento politico 'Possibile', a settembre dell'anno scorso, non era riuscito a raccogliere le 500mila firme per chiedere un referendum popolare in tema di ricerca e estrazione degli idrocarburi. Non va dimenticato però che il governo, nell'ambito della Legge di Stabilità ha proposto modifiche importanti sugli stessi temi toccati dai referendum; a fronte di ciò poi la Cassazione ha riesaminato i quesiti e l'8 gennaio ne ha dichiarato ammissibile soltanto uno.

Da qui è partita la richiesta di alcuni consigli regionali (Basilicata, Sardegna, Veneto, Liguria, Puglia e Campania), che hanno presentato un conflitto di attribuzione alla Consulta relativamente a due quesiti, vale a dire il 'piano delle aree' e il 'regime delle concessioni'. Che tuttavia, il 9 marzo scorso, sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte Costituzionale.

La scelta della data è stata oggetto, anche recentemente, di forti polemiche legate al possibile accorpamento del referendum alla data delle prossime amministrative, come sollecitavano i promotori. Infatti sono in molti, anche tra le regioni, a ritenere a forte rischio il superamento del quorum, preferendo di gran lunga la soluzione 'election day'. Soluzione che sta continuando a chiedere il Codacons, che ha promosso un ricorso al Tar del Lazio, "perché la non unificazione di referendum amministrativi appare contraria ai principi di buon andamento della Pubblica Amministrazione, e non sembra rispondere ai criteri fissati dalle norme vigenti e dalla Costituzione". Ma su quest'ultima partita i giudici amministrativi diranno la loro il 13 aprile, a poche ore quindi dall'apertura ufficiale dei seggi.

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