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La sicurezza prima di tutto: servono unità e risposte dure

Il presidente francese François Hollande lo ripete a ogni occasione: quella in corso è una guerra contro l’Europa in quanto simbolo religioso e di civiltà. Noi che non abbiamo paura delle parole diciamo che ha perfettamente ragione. Proprio per questo alle parole devono seguire fatti forti e chiari tanto quanto quelli accaduti ieri a Bruxelles. Non è più tempo per le anime belle e per le sottili distinzioni. Come ha detto ieri il presidente Renzi non servono gli sciacalli, ma nemmeno le colombe. La sicurezza innanzi tutto. Quella delle nostre vite, delle nostre famiglie, di tutti i nostri affetti. Se quella che è in corso è una guerra, bisogna difendersi con tutti gli strumenti utili alla vittoria. Non abbiamo cominciato noi le ostilità.
Siamo stati attaccati e ora abbiamo il compito di portare a compimento la missione che prevede la distruzione del nemico. Con un’avvertenza in più: questa è la prima volta, dalla fine del Secondo conflitto mondiale, che l’Europa si trova a fronteggiare un’emergenza bellica senza l’ombrello Usa. Non che Washington stia a guardare, ma è chiaro che questa è una faccenda che dobbiamo risolvere prima di tutto noi europei. Il cambiamento di parametro impone come prima regola quella di superare tutte le gelosie e i particolarismi nazionali. Nelle ultime settimane, per esempio, abbiamo assistito ad un sottile gioco di competenze fra le forze dell’ordine francesi e quelle belghe.

Gli unici a trarne beneficio sono stati proprio i terroristi, ritardando l’arresto di Salah, componente del commando che il 13 novembre aveva seminato 130 morti per le strade di Parigi. Se la minaccia è comune a tutta l'Europa, anche la risposta deve essere corale. Nessuno di noi può più sentirsi al sicuro. L’attentato di ieri, con tutta probabilità, è la risposta dell’Isis agli arresti della settimana scorsa. Questo vuol dire che il Califfo Nero dispone di una organizzazione ben più strutturata di quanto non si pensasse. Fino a ora ci siamo illusi che si trattasse di quattro esaltati animati solo dal fanatismo.

Ora dobbiamo prendere atto che si tratta di una macchina da guerra in piena efficienza che ha capacità di comando e soprattutto dispone di un’arma sconosciuta e inconcepibile per noi occidentali: le bombe umane. Quindi non ha bisogno di studiare sofisticati piani d’attacco o complicate strategie. Gli basta sguinzagliare un po’ dei suoi kamikaze nei luoghi dove c’è più folla. Se non vogliamo cambiare il nostro stile di vita, dobbiamo dare una risposta di una durezza senza precedenti. A meno di non rassegnarsi e di non andare più allo stadio o a teatro. A meno di non vivere con il cuore in gola temendo la sirena che impone di sfollare immediatamente scuole, università, luoghi di ritrovo.
L’attentato di ieri, da quanto si capisce, aveva soprattutto lo scopo di dimostrare ai fanatici che seguono l’Isis l’invincibilità delle sue bandiere. Per questo l’organizzazione del terrore è stata immediata ed è stata scelta Bruxelles. Sia perché è il luogo dov’è stato arrestato Salah, sia perché ormai la città è super blindata. Le bombe di ieri servivano al Califfo Nero per dimostrare la sua invincibilità. Ma sono anche un avvertimento al traditore che non si è fatto saltar per aria come i compagni al teatro Bataclan di Parigi e adesso minaccia anche di raccontare tutte le cose che sa (e non sono poche) sul funzionamento della rete del terrore. Sarebbe il primo pentito della Jihad: un pericolo mortale per il fanatismo islamico.
Ma se l’obiettivo dell’attentato di Bruxelles è quello di rassicurare le truppe dell’Isis c’è un’altra questione che si pone e cioè l’intreccio fra il terrore e l’immigrazione clandestina. Le infiltrazioni non si sono certo interrotte con la destabilizzazione delle rotte. Salah ha potuto vivere tranquillamente nel suo ambiente per cinque mesi. Mentre le polizie di mezza Europa lo cercavano ovunque, il terrorista stava tranquillamente a Molenbeek, il quartiere di Bruxelles dov’è sempre vissuto. Una circostanza che distrugge una delle illusioni più radicate degli ultimi anni. Vale a dire l’esistenza di un islam moderato che non vuole mescolare la sua esistenza con il fanatismo. A meno di non immaginare che Molenbeek sia abitato solo da estremisti, bisogna concludere che la linea di confine è molto incerta e che la comune appartenenza religiosa rende quel mondo molto più coeso di quanto non appaia nelle analisi più superficiali. Dobbiamo interrogarci sui limiti e sul significato del processo di integrazione. Se lo facessimo arriveremmo probabilmente alle conclusioni cui è giunto Domenico Quirico, profondo conoscitore del mondo islamico. Non per sentito dire, come molti che parlano oggi, ma in profondità essendo stato anche rapito da una banda di estremisti. Quirico ha detto chiaramente che l’Europa è fuori strada. La politica sull’immigrazione fin qui tenuta è stata sbagliata. L’accoglienza con cui Molenbeek ha protetto Salah testimonia che la comunità locale continua a sentirsi, innanzitutto, araba e di religione islamica. La scelta delle frontiere aperte è stata uno sbaglio perché non si possono accogliere dei profughi cui non abbiamo nulla da offrire: non un lavoro, non una dignità, non un futuro. E’ naturale che finiscano per guardare con simpatia crescente ai militanti che, con il loro sacrificio e le loro bombe, promettono di cambiare un mondo amaro e avaro.
Certo non si possono nemmeno chiudere le frontiere dinanzi a 60 milioni di disperati che bussano alle porte dei Paesi prosperi (non solo in Europa ma nel pianeta). Prima però bisogna trovare un equilibrio fra spazi, lavoro e immigrati. Altrimenti la bomba sociale che si sta innescando avrà effetti imprevedibili.
Fra i morti e le distruzioni del jihadismo vediamo in queste ore circolare molti sciacalli, come li ha chiamati Renzi. Sono gli esponenti politici che sperano di trarre effimero profitto da queste tragedie. Sognano il filo spinato alle frontiere e l’esplosione dell’Europa. Con le loro affermazioni dimostrano di non aver capito nulla. Pensano davvero che piccoli Stati come sono quelli europei, presi singolarmente, sarebbero in grado di fronteggiare una minaccia tanto grande? Pensano davvero che avere meno Europa sia la cura migliore per battere gli attentatori? Noi non siamo di questa idea. Di fronte ad attacchi di questa portata serve una risposta potente che può arrivare solo dalla mobilitazione delle infinite risorse umane e finanziarie di cui solo l’Europa unita può disporre. Divisi si perde. Una verità che vale sempre e comunque. Per la maggioranza e per la minoranza, perché l’attacco non è rivolto a questo o a quello ma a tutti. *

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