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Quirico: «Troppi complici per Salah, il jihadismo è forte in Europa»

Al di là e prima ancora della «rete», della base logistica che ha fornito armi e soldi, della cerchia più stretta, dei complici che lo hanno protetto per 126 giorni, con l' arresto del «boia di Parigi» sembra emergere un mosaico molto più complesso, rarefatto ma stratificato nel tempo. Perché dietro la fuga e la latitanza di Salah Abdeslam c' erano chiaramente molti più tasselli, c' era la gente del suo quartiere che sapeva e nascondeva. E adesso che la caccia è finita, e le autorità del Belgio parlano di successo indiscutibile, resta una domanda: quanti possibili Salah ci sono in giro, e quante altre Molenbeek? Per Domenico Quirico, inviato de La Stampa, «la questione è cruciale: in Europa l' islam ha raggiunto una dimensione importante, teologicamente, sociologicamente e numericamente. In questo scenario, sapere quanti sono i contagiati dal verbo estremista- di certo la minoranza- e cosa sono disposti a fare per aiutare coloro che vedono come una sorta di eroi, significa capire quanto può essere profondo e radicato il jihadismo europeo».

Da dove partire e come?
«Dalle nostre città, dalle periferie, chiedendoci cosa siamo noi, e in quel "noi" ci sono anche i milioni di musulmani nati e cresciuti in Europa. E bisognerebbe comprendere perché una minoranza di queste persone ha scelto di radicalizzarsi, quale molla tocca un predicatore per spingere al jihad, e come può essere che esistano distretti come Molenbeek, in cui bolle il brodo dell' islamismo radicale. Capire è difficile, anche perché ogni volta che ci proviamo tendiamo a usare parametri e categorie stereotipate, o ricorriamo a etichette o paragoni che non stanno in piedi. Certo è che se oggi ci limitiamo ad esultare per gli ultimi arresti o ci concentriamo solo e soltanto sul livello investigativo o repressivo non arriviamo a niente».

A quali categorie errate o fuorvianti si riferisce?
«In queste ore, ad esempio, si sono sprecati i paragoni tra la latitanza di Abdeslam e quella dei boss mafiosi, e c' è chi collega il suo passato di piccolo criminale alla sua vita da terrorista. Per fare l' identikit di queste persone scattano le solite classificazioni: delinquenti, falliti nella vita in cerca di protagonismo, gente che nella propria marginalità ha cercato un riscatto nel credo jihadista pensando aun paradiso dei martiri, oppure sopravvivenze di un' epoca medievale cadute come meteore nel ventunesimo secolo. Ma chi è veramente Salah? Perché ha aderito all' Isis? Ogni volta che cerchiamo di radiografare questi personaggi con i nostri strumenti alla fine c' è sempre qualcosa che ci sfugge, degli spigoli che non entrano nella nostra mappatura, come tessere di un puzzle incomprensibile, che faticosamente cerchiamo di mettere insieme. Sono i nostri schemi che sono sbagliati».

Da Molenbeek arriva un' immagine chiara: i fiancheggiatori erano più numerosi dei terroristi. Come si è arrivati a questo punto, nel cuore d' Europa?
«Alcuni anni fa, ben prima che esplodesse tutta questa storia, dei belgi mi descrivevano il quartiere paragonandolo a Mosul, con gli stessi pericolosi umori che fermentavano e si diffondevano. Mi sembrava un' esagerazione, ma col senno del poi avevano ragione. Quello scenario è oggi replicabile. Le periferie francesi, dove le terze generazioni di immigrati vivono come in un mondo a parte, slegato dal resto del Paese nelle tradizioni e persino nel linguaggio, non sono così diverse da Molenbeek.
In luoghi simili è più facile che attecchiscano idee aberranti come quella della ricostruzione del Califfato o le idee della democrazia, dei diritti umani e del relativismo religioso?».

Quanta responsabilità ha la società occidentale nella distanza che si è creata?
«Siamo rimasti indifferenti. E a questo punto dobbiamo capire se il carnet di progetti e valori che noi presentiamo a questa gente può avere ancora valore per loro. I vantaggi che con tutti i suoi limiti la nostra società offre rispetto alle realtà immobili e corrotte dalle quali queste persone provengono come terza o quarta generazione, dovrebbe essere evidente, scontato, ma evidentemente non è sempre così, e qualcuno si è accorto che certi nostri principi restano solo sul piano teorico, non si realizzano, e ha preferito rigettarli. Ma resta sempre da capire qual è la molla che dopo il rifiuto fa scattare la violenza. Io ho conosciuto gente che è approdata al radicalismo islamico ma nessuno mi ha mai spiegato come e perché avviene il passaggio. Capire è difficile, se non superficialmente, utilizzando, appunto, classificazioni, categorie.
E torniamo sempre al punto di partenza: qual è l' identikit di Salah? Siamo sicuri di conoscerlo? Perché questa gente sceglie la strada del jihad? A questo non so ancora rispondere».
Come ne usciamo fuori? Viste le radici profonde è chiaro che intelligence e forze di sicurezza da sole non bastano a fronteggiare la minaccia del terrorismo.
«Purtroppo il successo attira: fin quando ci sarà una calamita, che si chiami Califfato o in qualsiasi altro modo, ci sarà sempre della gente disposta a buttarsi in terribili e sanguinarie avventure. Succedeva con Bin Laden, succederà fin quando ci sarà una matrice del jihadismo internazionale. Come dicevo, sta a noi capire come sia possibile che la propaganda del Daesh attecchisca in Europa, trovare il tarlo, ma fin quando esiste la tentazione ci saranno sempre persone che si faranno tentare».

Dopo la strage di Parigi il Daesh sembra gradualmente perdere terreno. Proprio per questo, dobbiamo aspettarci una recrudescenza di attentati?
«È probabile che ci sia una relazione, e che più aumenta il livello di scontro dell' Occidente in Siria o in Libia, più il Califfato inciti al terrore per dimostrare che esiste ed è ancora forte. Ma attenzione, il terrorismo è solo una delle voci della strategia dell' Isis, e forse neanche la principale, e non l' ha certo inventata Bakr al-Baghdadi. E non so quanta relazione diretta, gerarchica, ci sia tra il Daesh e il jihadismo europeo. Credo piuttosto esista ormai una sorta di sezione europea del Califfato, che opera secondo proprie strategie per procurarsi armi e denaro e per colpire. È come se viaggiassero su un binario parallelo a quello della centrale operativa del vicino Oriente. Il collante è l' emulazione».

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