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Vittorio Sgarbi : «Le opere d'arte ? Sto male se sento “fruire”, dei quadri si gode soltanto»

ROMA. Il gran tour nacque da un'esigenza: visitare l'Italia. Dove Winckelmann scopre lo spirito greco, Goethe realizza la bellezza del Paese venendo in Sicilia, e poi arriva Stendhal. Il turismo comincia dalla rappresentazione dell'Italia fatta dagli stranieri. Gli italiani, invece, sprecano quotidianamente tanta bellezza. Dopo aver trattato gli anni in cui l'artista si sfidava, in un continuo superarsi, Vittorio Sgarbi con Dal cielo alla terra - Il tesoro d'Italia III (Bompiani) prosegue il cammino attraverso l'arte antica, un progetto avviato nel 2013: l'excursus questa volta comprende il periodo breve e cruciale che va dai capolavori di Michelangelo e il fiorire della lunga stagione della Maniera e approda al vero di Caravaggio - metaforicamente dal «cielo alla terra» - all'aurora di Guido Reni, al barocco di Bernini. Un secolo di pittura e scultura, in compagnia di grandi come Rosso Fiorentino, Parmigianino, Tintoretto - un grande critico come Roberto Longhi non lo amò ma già l'impaginazione del primo capolavoro dell'artista veneziano, Il miracolo dello schiavo per la Scuola Grande di San Marco, è grandiosa e teatrale - e Caravaggio, e artisti meno noti ma altrettanto imprescindibili: guai a dimenticare il Savoldo, autore di una grande Annunciazione, o Bassano. «Il precedente libro si interrompeva negli anni tra 1540 e il 1550, questo volume riparte proprio da quel periodo per arrivare ai primi allievi di Caravaggio e Bernini. Il quarto volume, in uscita a fine anno, andrà da Bernini a Tiepolo, mentre il tomo di chiusura prenderà in esame l'intero Ottocento e metà del Novecento, fino a De Chirico», annuncia il critico.

Da Michelangelo, che inventa il «non finito», a Caravaggio. Dal «Giudizio universale» a «I bari». Dai pittori manieristi, che sviluppano le tesi di Michelangelo, il cielo, alla grande deflagrazione di Caravaggio, la terra. In pochi anni il mondo di tutte le perfezioni possibili si rovescia in un gruppo di giocatori, sporchi e ubriachi, all'osteria.
«Merisi è il primo a cogliere l'istantanea del momento nella pittura. Di fatto è l'autore che inventa la fotografia nella pittura. Questa è la sua potenza: usare il tempo della pittura per ottenere l'effetto che si ha oggi con una fotografia. È la fine di un modello ideale a vantaggio dell'unico obiettivo degno del nostro sguardo: il vero».

Quindi non esercizi astratti sulle forme, ma confronto con una realtà cruda, che attende di essere riprodotta?
«Sì. In un quadro come La buona ventura, sembra che Caravaggio dipinga i Casamonica, non c'è più alcuna simbologia sulla tela, né teatro né idealizzazione, solo presa diretta della realtà. La terra è il suo vero cielo. Il Seppellimento di Santa Lucia è ambientato nella latomia di Siracusa, un luogo che suggestionò non poco l'artista, ed è evocato nella parete che incombe sui personaggi, comprimendoli e spingendoli in un abisso. Un incubo. Quasi mai un avvenimento dipinto da Caravaggio avviene alla luce del sole, e alcune tele, come San Matteo e l'angelo hanno uno spirito teatrale».

C'è il Tiziano della piena maturità.
«Il fuoco invece del marmo. Così lo vediamo in un capolavoro ritrovato e restaurato, Il martirio di San Lorenzo della chiesa dei Gesuiti a Venezia: lampeggianti bagliori di fuoco e totale assenza di disegno nell'elaborazione di un notturno misterioso. La sua notte non è teatro, è psiche».

Il volume è una storia dell'arte - ma anche una geografia dell'arte, una ideale cartografia - in cui però lei prende le distanze da Carlo Argan.
«A differenza di Argan, che era un grande ma aveva con le opere d'arte un rapporto asessuato e freddo, io ho voluto raccontare il piacere che i capolavori trasmettono».

Ma il suo è un chiodo fisso...
«Sono come un attore porno. Nell'arte cerco sempre la passione, voglio godere: stanare opere misteriose è una straordinaria fonte di piacere».

Un percorso lussurioso, dunque: un secolo di puro piacere, un libro per gaudenti...
«Quando sento la parola “fruizione”, sto male. Dire “fruire di un'opera d'arte” è orribile. “Godere” è il termine giusto: questo desidera chi va in un museo».

L'idea è anche quella di far conoscere i cosiddetti minori?
«Artisti come Bastianino, Bartolomeo Passerotti, Altobello Melone, il Pordenone non sono minori, sono soltanto poco noti. Perché amare solo Guercino, perché dedicarsi solo a Giotto quando tanti volti anonimi chiamano? È necessario accendere una luce su quello che Longhi definiva “il genio degli anonimi”. Perché tutti dovrebbero sapere chi è Petrarca e non Simone Martini, il secondo pittore italiano senza il quale non si comprenderebbe la storia moderna della pittura? Chi non lo conosce vive alle Maldive, non in Italia. Questa inconsapevolezza del tesoro è un dato inquietante anche rispetto alla tutela e alla valorizzazione».

Si fa presto a dire che la bellezza salverà il mondo. Ma come la mettiamo se questa bellezza è una perfetta sconosciuta a chi ogni giorno ci passeggia sopra?
«Gli italiani non sono consapevoli del tesoro diffuso, capillare e democraticamente disperso ogni due chilometri quadrati di suolo. E, non conoscendolo, lo sciupano. Berlusconi non è mai stato ad Arezzo a vedere gli affreschi di Piero della Francesca, Gianni Agnelli lo stesso. Forse ci è andato Renzi ma solo perché è toscano. Il mio obiettivo è introdurre una “rivoluzione costituzionale”: creare un ministero del Tesoro dei Beni culturali che sia la fusione tra quello dell'Economia e quello dei Beni culturali e tenga conto del valore assoluto di quello che abbiamo. A Bruxelles possono fare le quote del latte, delle arance, non della bellezza. Quella la possediamo noi per intero».

C'è un nuovo corso dei beni culturali?
«Il nuovo governo si è limitato a mettere un po’ d'ordine alla burocrazia, stop. Dovrebbe portare l'arte in tv, come ho fatto io, spiegandola alla gente. In Italia abbiamo edifici nuovi che sono un orrore. Un esempio? La parte più recente del Palazzo di giustizia di Palermo: intollerabile aver speso del denaro in quel modo».

Già, la Sicilia? Nel secolo raccontato in questo volume ce n'è poca...
«Ne ho parlato tanto in quelli precedenti. Di quella attuale, invece, non c'è niente da dire, è abbandonata da anni, non succede nulla, non conosco neppure il nome dell'attuale assessore regionale ai beni culturali. Devo ripetere le stesse cose? Mi hanno mandato via da Piazza Armerina con l'80% dei lavori ultimati. La vicenda di Salemi? Una vergogna, lavoravamo a una innovativa rinascita del luogo. L'antimafia ha preso il posto della mafia. Gente schifosa, ignorante, incapace e ladra. Capra. Prefetti, ministri, assessori, mi viene il mal di pancia a pensarli».

Dell'«Operazione Caravaggio» attorno alla Natività trafugata cosa pensa?
«Non ho visto il risultato ma immagino sarà buono. Dietro c'erano Bernardo Tortorici e Peter Glidewell, assessori di Sgarbi a Salemi... No, non metto più piede in Sicilia».

Ma chi le crede? Se è venuto a presentare il suo libro di recente...
«Che c'entra? Quello era un motivo personale. Magari vengo anche a trovare una fidanzata. E basta».

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