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Salme di Failla e Piano ancora in Libia
Gentiloni: in Italia spero entro domani

Lo riferisce all'ANSA il sindaco di Sabrata, Hussein Al-Zawadi, rispondendo a domande sul rientro in Italia delle salme dei tecnici uccisi in Libia, Salvatore Failla e Fausto Piano

IL CAIRO. Tra Roma, Tripoli e Sabrata si sta lavorando per far tornare al più presto, e senza «l'oltraggio» di una quasi inutile autopsia, i corpi di Salvatore Failla e Fausto Piano, i tecnici della Bonatti rimasti uccisi in Libia.  «Stiamo lavorando incessantemente per fare rientrare il più
presto possibile le salme dei due italiani. Se possibile rientreranno entro e non oltre la giornata di domani», ha detto il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.

L'annuncio ha smorzato le speranze che il trasferimento in Italia fosse possibile già in queste ore come aveva lasciato intendere il sindaco di Sabrata, Hussein Al-Zawadi, definendo «molto probabile che il rimpatrio avvenga oggi». Almeno in giornata, i corpi di Failla e Piano erano segnalati dal sindaco come a disposizione delle autorità giudiziarie a Surman, un centro praticamente legato a Sabrata con cui coordina le milizie. Le stesse che, intercettato il convoglio con cui venivano trasferiti Failla e Piano, ingaggiarono il conflitto a fuoco nel quale i rapitori sono rimasti uccisi assieme ai due italiani con dinamica dettagliata ancora da chiarire.

Zawadi ha detto di non avere informazioni se sia stata compiuta un'autopsia o solo un esame autoptico meno invasivo («Tutto è nelle mani della Procura», si è schermito). Sulla questione pesa il dolore della vedova di Failla: come ha ribadito il suo legale, la signora Rosalba percepisce l'autopsia come «un oltraggio». Gentiloni, ha riferito l'avvocato, «le ha detto che lo Stato si sarebbe mosso per evitare questo sfregio».

Intanto si consolidano ipotesi ed emergono dettagli sui sette allucinanti mesi patiti dai quattro sequestrati. Innanzitutto il tradimento iniziale con cui potrebbero essere stati venduti ai sequestratori da qualcuno che sapeva del loro spostamento a bordo di un'auto guidata da un libico, e non come al solito via mare, per arrivare a Mellita. E poi l'angoscia: «Non vendeteci all'Isis», era una delle loro suppliche ai loro sequestratori.

«Un momento difficile è stato l'inizio» perchè «pensavamo di vivere un incubo», ha ricordato Filippo Calcagno rievocando poi l'ottimismo di Failla, poi tragicamente smentito: «negli ultimi tempi» aveva «una fiducia ... Diceva 'dai, tranquilli. Ce la facciamò», ha rievocato ancora Calcagno. Il tecnico ennese ha ricordato come, con l'ausilio solo di un chiodo, è riuscito a forzare la serratura della porta stanza in cui erano prigionieri riuscendo a liberarsi assieme a Pollicardo dopo essere stati abbandonati dai rapitori.

Uno sviluppo avutosi nonostante, secondo quanto è stato possibile ricostruire, fosse stato concordato di trasferire tutti e quattro gli ostaggi in un altro luogo per effettuare uno «scambio» e consegnarli a uomini della intelligence italiana. I rapitori avrebbero però deciso di trasferire prima Failla e Piano e solo dopo Pollicardo e Calcagno forse per un problema pratico: le auto troppo piene di materiale da portarsi dietro dovendo smobilitare la 'basè dove erano tenuti i prigionieri. Il fatale incontro con le milizie sulla strada tra Surman a Sabrata, un tragitto inferiore a 15 chilometri, potrebbe essere spiegato con il tradimento di qualcuno che ha rivelato la liberazione degli ostaggi perchè rimasto fuori dalla trattativa o tentato di fare il doppio gioco per alzare la posta.

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