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«In Libia non c’è un'alternativa all’intervento militare»

«È incredibile come i ricorsi della storia siano quantomai d'attualità.  Dopo tanti anni, l'Italia tornerà sul suolo della Libia con le stesse divisioni che schierava nella Seconda Guerra Mondiale in Nord Africa» Massimiliano Burri, docente di Armi e Balistica nella «Eui-Ecole Universitaire Internationale» di Roma, ritiene scontata la partecipazione del nostro Paese a una missione internazionale di «pacificazione libica», tanto più dopo le dichiarazioni del ministro Gentiloni. «Non vedo soluzioni diverse all'orizzonte, se non quella militare - spiega lo studioso - Sia l'Onu che le grandi potenze hanno tentato di riparare in tutti i modi ai danni fatti in passato. Inoltre, l'Isis si sta rafforzando sempre di più. E quel territorio potrebbe diventare base stabile delle forze integraliste, se la campagna del presidente Assad in Siria volgerà al successo».

Proprio inevitabile la presenza italiana, in caso di operazione multinazionale in Libia?
«La presenza militare italiana è richiesta dagli Stati Uniti e dalle altre potenze europee perchè la ritengono la chiave di volta per consentire l'accesso di Francia, Usa e Gran Bretagna. Gli italiani hanno sempre trattato la Libia come un Paese alla pari, non certo da ex-colonia, per questo siamo ancora ben voluti. Lì, possiamo spendere ancora crediti».

Quali sono i reparti, gli armamenti, che possono essere usati dalle nostre Forze Armate nel «Paese del Caos»?
«Intanto, le Forze Speciali: incursori di Marina, paracadutisti del "Tuscania" e  dell'Aereonautica. Il loro addestramento permette incursioni in profondità a bordo di veicoli veloci ed oltre le linee nemiche, obbligando le forze ostili a "coprirsi" anche a centinaia di chilometri dagli obiettivi. Come forze di terra, sicuramente assisteremo all'impiego dei parà della "Folgore", del Battaglione "San Marco", che potrebbe addirittura sbarcare dal mare, sotto la protezione dei caccia "Harrier" dell'aviazione di Marina imbarcata sulle portaerei "Cavour" e "Garibaldi". Abbiamo, inoltre, i mezzi per fronteggiare le componenti corazzate delle forze ribelli».

Quali mezzi? 
«Il carro "Ariete"  in dotazione alla Folgore  e le "Centauro" della Cavalleria Corazzata potrebbero essere i più adatti a contrastare i carri armati "T54", "T62" e "T80" dell'ex esercito di Gheddafi. Anche la Brigata "Sassari", una delle meglio addestrate, potrebbe avere un impiego operativo, mentre sembra certo che l'aviazione dell'Esercito vigilerà sui movimenti ostili delle forze avversarie utilizzando gli elicotteri protetti "Mangusta". L'Aereonautica, invece, fornirà con i cacciabombardieri "Tornado" e "AMX" l'ombrello di copertura alle nostre operazioni».

Insomma, siamo pronti?
«I nostri militari sono ottimamente addestrati e in grado di garantire, sul territorio, un livello di sicurezza eccellente. Non dimentichiamoci che le truppe finora citate vengono da decenni di operazioni militari all'estero e sono considerate  fra le migliori del panorama internazionale».

Ormai da cinque anni almeno, droni schierati a Sigonella. Per fare cosa?
«I droni militari americani hanno anche capacità offensive. Lanciano missili, come possono compiere missioni di ricognizione e sorveglianza. I nostri, invece, sono soprattutto apparati di controllo del territorio ostile. È ovvio, però, che all'occorrenza possono essere armati».

Da escludere che questa operazione, a differenza di quanto avviene in Siria e Iraq, possa essere affidata unicamente ai raid aerei?
«Mettere gli scarponi sul territorio sarà inevitabile se si vogliono controllare i pozzi petroliferi e difendere gli interessi dell'Eni. Per evitare i raid dell'aviazione, peraltro, la guerriglia ha impostato una tattica a macchia di leopardo, diluendo  i reparti in poche unità e frazionandoli in tutte le zone di competenza. In questo modo difficilmente l'Aereonautica riuscirà a mettere a segno colpi importanti. Sarebbe come pretendere di distruggere un formicaio, schiacciando le formiche una alla volta. I raid aerei possono indebolire le forze ostili ma non certo eliminarle del tutto. Non sarà una cosa semplice».

Il Parlamento di Tobruk, il governo islamista di Tripoli, gli jihadisti di Isis e Al Nusra, i clan tribali: troppi «attori» perchè un intervento multinazionale possa servire davvero?
«L'intervento potrà avere un senso soltanto se ci sarà un piano per il dopo. Non possiamo pensare di intraprendere una missione così delicata senza un concreto piano di stabilizzazione».

In un'intervista al «Giornale di Sicilia», il generale Maurizio Navarra - già ai vertici di Guardia di Finanza e Sisde - ha dichiarato che «mandare il nostro esercito in Libia, attirerebbe i terroristi contro il nostro Paese». D'accordo?
«Non completamente. È vero che i rischi per il nostro Paese aumenterebbero. Togliendo le basi  agli jihadisti, però, è certo che verrebbe a mancare il supporto operativo e addestrativo a quanti vorrebbero arrivare in Europa per compiere attentati!».

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