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Liste d'attesa e ticket, un italiano su dieci rinuncia a curarsi

ROMA. Liste d'attesa interminabili, tanto che per un'ecografia all'addome si può aspettare fino a 5 mesi, ed un 'caro ticket' che pesa sempre di più sulle tasche dei cittadini. Quanto basta per costringere ben un italiano su 10 a dire addio alle cure, rinunciando ad esami e visite, con l'ulteriore paradosso che è proprio nelle regioni dove si pagano più tasse che le prestazioni sanitarie sono meno garantite. Sono queste solo alcune delle 'storturè derivate dal federalismo sanitario e denunciate da Cittadinazattiva-Tribunale per i diritti del malato (Tdm) nel Rapporto 2015 dell'Osservatorio civico sul federalismo in sanità.

A pesare, denuncia il Tdm, sono innanzitutto i costi: la spesa sostenuta privatamente dai cittadini per prestazioni sanitarie in Italia è, infatti, al di sopra della media OCSE (3,2% contro il 2,8%) e con forti differenze tra le regioni  (dai 781,2 euro in Valle d'Aosta ai 267,9 in Sicilia). Inoltre, in generale, le Regioni in Piano di rientro, e la Campania in particolare, sono quelle che, a fronte di una minore spesa pubblica e di una elevata tassazione, danno meno garanzie ai cittadini nell'erogazione dei Livelli essenziali di assistenza.

Altra nota dolente per il portafoglio degli italiani sono i ticket: l'importo varia di regione in regione ed ogni anno gli italiani, a testa, pagano in media oltre 50 euro come quota di compartecipazione nelle Regioni del Nord e Centro, con punte vicino ai 60 euro in Veneto e Valle D'Aosta, e in media 42 euro al Sud. E la situazione è notevolmente peggiore proprio al Sud, dove si riscontra la maggior quota di rinunce alle cure (11,2%) rispetto al Centro (7,4%) e al Nord il (4,1%). A scoraggiare gli italiani sono però anche le lunghe attese, con una ben poco invidiabile 'classificà che registra picchi fino a 5 mesi per poter effettuare nel pubblico un'ecografia. Ma l'attesa non è uguale per tutti: per una visita ortopedica i tempi minimi si registrano nel Nord-Est (un mese) e quelli massimi al Centro (due mesi), mentre per una prima visita cardiologica con ECG si va dal minimo di 42,8 giorni nel Nord-Ovest al massimo di 88 giorni al Centro.

Anche altre le criticità segnalate, a partire dall'assistenza territoriale carente soprattutto al Sud. Molte ombre pure sui punti nascita: su 531 attivi nel 2014, ben 98 effettuano un numero di parti inferiore ai 500 l'anno. Rispetto poi all'utilizzo del parto cesareo, per il quale le linee di indirizzo ministeriali indicano un valore standard del 20%, la media registrata nel 2014 è ancora pari al 35,9%. Capitolo a parte è la prevenzione: in questo ambito il Sud fatica e Lazio e Veneto fanno passi indietro, mentre meno della metà delle regioni raggiunge la copertura del 95% per le vaccinazioni obbligatorie infantili. Quanto agli screening oncologici gratuiti, l'adesione dei cittadini va dal 53% al Nord al 39% del Centro e 31% del Sud.

Altrettanto diversificato tra le regioni è l'accesso ai farmaci innovativi, soprattutto per  tumori ed epatite C. Per il trattamento del dolore in ospedale infine, denuncia il Tdm, «al Sud è 'ammessò soffrire di più».

Insomma, conclude il coordinatore nazionale Tdm Tonino Aceti, «è ora di passare dai piani di rientro dal debito ai piani di rientro nei Livelli Essenziali di Assistenza, cruciali per la salute dei cittadini e la riduzione delle diseguaglianze, senza andare dietro alla sola tenuta dei conti».

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