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Agromafie, Caselli: «I clan si infiltrano, Ragusa la zona più a rischio»

PALERMO. «Ha raggiunto quota 16 miliardi di Euro il business delle agro mafie nel 2015, mentre il fatturato dell'Italian sounding, il fenomeno molto diffuso della falsificazione contraffazione e imitazione del Made in Italy alimentare nel mondo, ha superato i 60 miliardi di euro, con quasi due prodotti italiani su tre in vendita sul mercato. Un'autentica emergenza che toglie fiato alle imprese e compromette la nostra competitività, cui occorre rispondere diffondendo la cultura e la pratica della legalità e della trasparenza». L’ex procuratore Gian Carlo Caselli, presidente del Comitato Scientifico dell'Osservatorio sulla criminalità nel settore agroalimentare, commenta i dati del IV Rapporto «Agromafie» elaborato da Coldiretti, e da Eurispes, che è stato presentato ieri a Roma, presso la sede di Coldiretti.

Perché l'industria del cibo attrae mafia e criminalità in misura crescente?
«Perché stiamo parlando di un motore insostituibile dell'economia nazionale, che movimenta circa 270 miliardi di euro, impegnando circa 2,5 milioni di addetti. Il cibo è il cuore della nostra identità e cultura, per cui rispettare le regole vuol dire non solo avere un cibo buono sulle nostre tavole, ma anche sano e giusto, con impatti determinanti sulle nostre aspettative e qualità di vita, con un riequilibrio tra paesi ricchi e paesi poveri. L'Oms ci dice che sono circa 2 milioni le persone che muoiono perché assumono cibi contraffatti. Consapevoli del contesto globale in cui ci muoviamo, dobbiamo operare per stimolare la completa integrazione delle forze di contrasto che agiscono a livello internazionale, per ottenere risultati apprezzabili».

Presso il ministero della Giustizia è stata istituita una Commissione sui reati agroalimentari. Quali sono le finalità?
«Aggiornare la legislazione in materia, che si presenta vecchia e farraginosa. Con questo scopo è stato presentato un disegno di legge di riforma dell'intera materia. Per raggiungere i loro obiettivi i clan ricorrono a tutte le tipologie di illegalità: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, abigeato, macellazioni clandestine. L'elenco dei reati è lungo: si va dall'associazione a delinquere di stampo mafioso e camorristico, al concorso in associazione mafiosa, alla truffa, all'estorsione, al riciclaggio, alla concorrenza illecita. A questo ventaglio si aggiunge la nuova frontiera del web. Dobbiamo pensare che l'incrocio tra realtà virtuali e settore agroalimentare genererà volumi sempre più alti di fatturato, con effetti sui consumatori e le aziende ancora tutti da valutare. Inutile sottolineare che la spinta per riformatrice dovrà essere estesa anche alla UE, altrimenti vano sarebbe ogni sforzo».

Vi sono aree della nostra Penisola più esposte a questo genere di crimini?
«In Regioni quali la Calabria e la Sicilia abbiamo un dato di controllo criminale del territorio secondo il Rapporto elevatissimo. In particolare in Sicilia province come Ragusa fanno registrare la maggior penetrazione, molto in alto sono collocate anche Caltanissetta e Catania. Va poi detto che anche nel Centro Italia vi è un grado notevole di presenza criminale, in Regioni come Abbruzzo, Umbria e Marche. Nel Nord sono il Piemonte e l'alta Lombardia, oggetto della nostra attenzione».

Capitolo beni confiscati. Sul tema ha insistito la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi nel corso della presentazione. Cosa emerge dal vostro studio?
«Sul territorio nazionale sono circa 25mila i terreni nelle mani di soggetti condannati in via definiva per associazione a delinquere di stampo mafioso e contraffazione. Si calcola che circa un immobile su cinque confiscato alla criminalità organizzata riguardi il settore agroalimentare e più della metà è concentrato in Sicilia, mentre una restante parte riguarda altre regioni a forte connotazione mafiosa, quali: la Calabria (17%), la Puglia (9,5%), la Campania (8%). La questione aperta, cui la Bindi ha fatto riferimento, riguarda le irregolarità o vischiosità che, secondo quanto denuncia la Dia, concernono i moltissimi beni che risultano ancora occupati o dai mafiosi o dai loro parenti e prestanome. Anche su questo aspetto servirà un intervento rapido da parte del legislatore, per rimettere realmente a disposizione della collettività dei beni che possono aiutare la crescita economica».

Quali sono le frodi più diffuse?
«Le tipologie di prodotti contraffatti sono circa una settantina, tra cui vini, formaggi dop e aceti balsamici. In cima a quella che potremmo definire una sorta di black list dei settori più colpiti dalla frode possiamo indicare carne, farine, pane e pasta, con ovvie ricadute sulla ristorazione come risulta dalle inchieste portate avanti dai Nuclei Anti Sofisticazione dell'Arma. Il valore totale dei sequestri è stato di circa 436 milioni di euro nel 2015. Sono state chiuse dagli stessi NAS più di mille strutture, con il relativo sequestro di una quantità vertiginosa di prodotti adulterati».

I consumatori che rischi corrono?
«Vi è un primo aspetto che riguarda l'alterazione delle regole della concorrenza. L'infiltrazione della criminalità nella filiera agroalimentare determina una lievitazione dei prezzi, che nel caso della frutta e della verdura è pari a quattro volte il prezzo reale, vi sono poi gli effetti sull'immagine del made in Italy difficilmente calcolabili, in quanto il cibo è un bene comune, che andrebbe valutato in quanto portatore di identità distintiva. Sul fronte della tracciabilità di ciò che mangiamo e della etichettatura, occorrerà, e su questi sono d'accordo con quanto ha dichiarato il ministro Martina, che l'Italia faccia sentire il suo peso in Europa, per sollecitare anche quei paesi che appaiono ancora troppo sordi rispetto all'adeguamento di alcune norme comunitarie, da cui dipenderà non solo la nostra salute, ma anche la tenuta del sistema economico nel suo complesso».

Infine le chiedo: possiamo fidarci di quello che mangiamo?
«La costante osservazione critica di tutto ciò che accade nel mondo della produzione e della distribuzione del cibo potrebbero trasmettere l'idea errata che l'Italia sia la culla del malaffare e della mafie. Al contrario, e va detto per completezza di visione e di informazione, i rilevamenti operati da Coldiretti, Eurispes e dall'Osservatorio sulla criminalità mettono in risalto come nel nostro paese queste notizie di reato emergono perché esiste un controllo severissimo e perché i consumatori possono contare sull'impegno di diversi comparti specializzati delle Forze dell'Ordine: dal Comando dei Carabinieri per la Tutela della Salute, al Corpo Forestale, dall'Ispettorato Centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi, alla DIA. La nostra Agenzia delle Dogane ha effettuato nel corso del 2015 centomila azioni di controllo. Questa sinergia e capillarità di intervento non si riscontra all'estero, da cui arrivano poche notizie di irregolarità, dal momento che i controlli sono molto blandi. La sfida che dobbiamo affrontare adesso riguarda la identità certificata che vorremmo fosse estesa a livello internazionale. L'Italia è pronta ed è anche orgogliosa di far sapere agli acquirenti dei suoi prodotti nel mondo che cosa e come produciamo, gli altri paesi sono disposti a fare altrettanto?».

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