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Mattarella da Obama, Breda: "Gli Usa chiederanno intervento rapido in Libia"

Il giornalista: «Gli Usa vogliono evitare l’insediamento dell’Isis a Sud del Mediterraneo, troveranno nel capo dello Stato italiano un alleato convinto»

Non sarà soltanto una formale stretta di mano quella di oggi a Washington fra Sergio Mattarella e Barack Obama. Due presidenze con gli stessi ideali di pace e libertà. Due esempi di autentica affermazione della democrazia: il primo afroamericano alla Casa Bianca, il più cattolico degli inquilini del Quirinale trasformatosi nel più intransigente garante della laicità delle istituzioni. «È vero – conferma l’editorialista del Corriere della Sera, Marzio Breda - ci sono parecchie affinità tra Mattarella e Obama. Dimostrano infatti una comune sensibilità sul tema dei diritti umani e della solidarietà».

Valori condivisi anche nell’ambito del difficile crinale degli interessi economici dei rispettivi paesi?
«Sì, entrambi si sono battuti contro le logiche di un certo ultraliberismo spietato che, di fatto, comprime qualsiasi ruolo sociale dell’economia: basta pensare a come si dimostrano entrambi molto attivi, usando naturalmente poteri diversi, per arginare il dramma della disoccupazione. Inoltre sono tutti e due predisposti - per temperamento e formazione - a comporre i conflitti politici attraverso il dialogo più che con la forza. In questo senso è probabile un rispecchiamento “culturale” oltre che umano, fra loro, nel colloquio alla Casa Bianca».

Che cosa potrà scaturirne concretamente?
«C’è da aspettarsi qualche utile segnale di affiancamento all’Italia sulla tenuta dell’economia. Mattarella, com’è logico, argomenterà l’importanza del percorso riformatore imboccato dal nostro governo e la solidità di fondo del nostro sistema finanziario, a partire da quello degli istituti di credito, per escludere con il suo interlocutore quel rischio-Paese che qualcuno, a Wall Street e dintorni, ha ipotizzato negli ultimi tempi. Un apprezzamento di Obama su questo fronte sarebbe importante, e avrebbe riflessi anche a Bruxelles, per smentire la nostra pretesa fragilità».

Gli scenari internazionali sono quanto mai delicati per l’Italia e gli Usa: la Libia, la Siria, la lotta al terrorismo islamico, l’Europa, il braccio di ferro con la Russia … Dove si troverà la maggiore convergenza?
«Sul dossier Libia, probabilmente. Washington vuole un intervento in tempi brevi, per scongiurare la minaccia che i terroristi dell’Isis possano insediarsi e controllare quel pezzo cruciale della sponda sud del Mediterraneo. E l’interesse americano per la sicurezza nell’area coincide con i nostri obiettivi. Certo, l’intera partita è subordinata ai nuovi assetti governativi libici, che saranno decisi a Tobruk nei prossimi giorni. Del resto, questa è la precondizione per qualsiasi intervento militare, che avrà comunque bisogno di un via libera delle Nazioni Unite, sul quale Roma rivendica già un ruolo di primo piano. Nello Studio Ovale se ne dovrebbe parlare diffusamente e, quanto all’impegno per la lotta al terrorismo, il presidente Usa troverà nel capo dello Stato italiano un alleato convinto».

Obama a fine mandato potrebbe offrire a Mattarella qualche «chiave di lettura» della nostra tormentata storia recente, per esempio qualche risultanza sul delitto Moro. Perché di Moro il nostro Presidente è significativamente, e anche dolorosamente, uno degli eredi politici… O sono soltanto illusioni?
«È un’ipotesi suggestiva ma, temo, illusoria. Di quel che c’è di “declassificato” negli archivi americani sui nostri anni di piombo ha scritto un saggio di notevole interesse Maurizio Molinari, qualche anno fa. In ogni caso un incontro ufficiale, a parte confidenze riservate sempre possibili ma non probabili, non mi pare la sede per sortite di questo genere».

Questo viaggio negli Usa segna anche lo spartiacque del primo anno di Mattarella al Quirinale e potrebbe delineare il resto del settennato?
«È una tappa di assoluto prestigio che corona il primo anno sul Colle di Mattarella, che tutti i sondaggi indicano ormai come l’uomo delle istituzioni più rispettato dagli italiani. Rispettato per lo stile con cui interpreta il proprio ruolo, senza cercare mai quello che potremmo definire mediaticamente “l’effetto speciale”. Ma anche per certi interventi, penetranti e con parole e gesti espliciti, che ha usato su problemi molto avvertiti dai cittadini: il lavoro, la questione morale, la lotta alla mafia, il servizio allo Stato, la missione dell’Italia in Europa».

La settimana di permanenza negli Usa sarà contrassegnata dagli echi degli sviluppi parlamentari del ddl sulle unioni civili e del braccio di ferro con Bruxelles. Come si è esplicitata finora la moral suasion di Mattarella?
«Sulle unioni civili ha “avvertito” gli uffici giuridici di Palazzo Chigi – e lo stesso premier - del rischio di un vizio di incostituzionalità, derivante da una sentenza ad hoc di qualche anno fa della Consulta con cui si vieta l’equiparazione tra questo tipo di unioni e i matrimoni. Una questione tecnica con un rilievo politico, insomma. Chiaro comunque che, mentre il Parlamento lavora, il Quirinale non può interferire più di tanto. Mentre sul rapporto con l’Europa ha caldamente suggerito a Renzi un po’ di prudenza soprattutto verbale, ma non solo, e di costruire alleanze in seno alla comunità, piuttosto che procedere da solo contro tutti. E anche qui si coglie per intero il suo stile».

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