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Giulio Regeni, domani la salma a Roma. Due arresti al Cairo

IL CAIRO. Il lavoro sui sindacati indipendenti, la ricerca di contatti con attivisti e soggetti critici nei confronti di Al Sisi, l'attenzione agli scioperi e alle manifestazioni di protesta: le fonti italiane che stanno cercando di ricostruire cosa è accaduto a Giulio Regeni,
ripetono che è in quest'ambito che vanno ricercati i motivi dell'omicidio del giovane ricercatore friulano. Che, dunque, potrebbe esser rimasto vittima di una sorta di 'punizione'.

Quel che è certo è che la verità sulla morte del ragazzo ancora è lontana e sono molti i punti che restano avvolti nella nebbia. L'ultimo, solo in ordine di tempo, è l'arresto di due persone da parte delle autorità egiziane. Fonti della sicurezza hanno annunciato di aver fermato due persone, parlando ancora una volta di «atto criminale» ed escludendo che «l'omicidio abbia riferimenti terroristici o politici». I dettagli della vicenda, però, non sono stati forniti, «ci vorrà tempo». E fino a tarda sera gli investigatori italiani dello Sco, del Ros e dell'Interpol arrivati al Cairo non avevano avuto alcuna conferma.

Proprio per cercare di mettere in fila tutti i tasselli che mancano, a partire dal giorno e dall'ora della morte, la Procura di Roma ha disposto l'autopsia, che sarà eseguita sabato dopo il rientro della salma del giovane in Italia. Ed inoltre ha chiesto al team di investigatori di «acquisire ogni elemento utile»: imagistrati hanno dato una delega aperta, senza indicazioni particolari e specifiche, per lasciare agli investigatori i più  ampi margini di manovra. L'obiettivo è quello di ricostruire i giorni precedenti alla scomparsa del ricercatore triestino - raccogliendo le testimonianze di tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui - perquisire l'appartamento dove viveva con altri due coinquilini e esaminare pc, telefoni e tabulati, sempre che siano ancora disponibili.

Al momento, dunque, si può soltanto mettere in fila quegli elementi raccolti con un ragionevole margine di certezza. Giulio esce la sera del 25 gennaio, quinto anniversario delle proteste di piazza Tahir, dalla sua casa nel quartiere di Dokki, e va a prendere la metro di Mohooth. Poco prima invia un sms con cui si dà appuntamento con un amico alla fermata di Mohamed Naguib. Ma dall'amico non arriverà mai. L'altro punto fermo è che il suo corpo 'riappare' la sera del 3 febbraio in un fosso lungo la strada Cairo-Alessandria nei pressi della fondazione Hazem Hassan, nudo dalla cintola in giù. Come è arrivato lì? Chi lo ha portato? Quando? Che fine hanno fatto quelli, forse un gruppo di operai, che hanno ritrovato il corpo?  Stando ai primi risultati dell'autopsia, riportati dai media, Giulio ha «contusioni su tutto il corpo», bruciature, un pezzo d'orecchio mancante «tracce di sevizie, un'emorragia interna e una frattura del
cranio» che avrebbe provocato la morte. Tutti elementi che difficilmente possono ricondurre la morte ad un «fatto criminale» come continuano ad accreditare le autorità del Cairo. E fanno piuttosto pensare a bande paramilitari.

La domanda resta dunque sempre la stessa. Chi e perchè ha ucciso Giulio? Chi sta lavorando al dossier è sempre più convinto che il movente vada cercato nel suo lavoro e nella sua presenza al Cairo. Lo stesso amico che ha ricevuto l'sms, ha raccontato che Giulio, con mail e chiamate, aveva chiesto «contatti di attivisti del diritto del lavoro» per poterli intervistare. Promettendo però che non si sarebbe mosso prima del 25 gennaio. Promessa che potrebbe non aver rispettato visto che il 14 gennaio, 11 giorni prima della scomparsa, sul sito 'Nena News' esce sotto pseudonimo lo stesso articolo pubblicato oggi da Il Manifesto a firma di Giulio Regeni. E in quel pezzo, il ricercatore parlava dell'attivismo dei sindacati indipendenti sottolineando che «in un contesto autoritario e repressivo come quello dell'Egitto dell'ex-generale al-Sisi, il semplice fatto che vi siano iniziative popolari e spontanee che rompono il muro
della paura rappresenta di per sè una spinta importante per il cambiamento». È l'unico o ce ne sono altri? E chi ha incontrato il giovane per scriverli? A chi potrebbe aver dato fastidio?

Sempre l'amico dello sms, ha rivelato che gli agenti non gli hanno chiesto se Giulio temesse per la sua incolumità, ma hanno fatto solo domande «sugli scopi della sua visita e sui suoi studi». Sospettavano fosse un uomo dei servizi? La storia di un suo collegamento con l'intelligence è circolata pure in Italia sul blog del giornalista Marco Gregoretti: Regeni, sostiene, sarebbe stato arruolato e avrebbe utilizzato la sua copertura per mettersi in contatto con organizzazioni anti Al Sisi. Così facendo, sarebbe finito sotto l'occhio degli 007 egiziani e sarebbe stato arrestato proprio il 25 gennaio. «Inqualificabili falsità e strumentalizzazioni» le hanno bollate i servizi
italiani, smentendo «categoricamente ogni e qualsiasi collegamento di Giulio con l'intelligence».

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