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L'Orto Botanico, uno scrigno di tesori "verdi"

PALERMO. L’Orto Botanico da ieri a oggi, dall’esordio come primo nucleo insediato sopra il Bastione di Porta Carini, a ora che è un monumento di successo - il più visitato di Palermo dopo il Teatro Massimo - e sta disegnando il verde intorno ai binari del tram e anche il nuovo giardino di Palazzo dei Normanni.

La svolta sull’Orto botanico dopo secoli di fermo immagine, il futuro sta arrivando nei nuovi spazi verso il fiume Oreto e all’orizzonte che si apre al mare con il progetto di espansione: un Orto con nuove idee di avanzamento ma dove tutto resterà ancorato alla terra come era al suo inizio. E ogni cambiamento traslerà i secoli in blocco e porterà avanti insieme tutto quello che finora è stato.

Da ogni radice del 1795 fino agli ultimi arrivati oggi. Compresi i «figli di ficus» che sono quattro piccoli nati non per clonazione ma per riproduzione: sono il caso inedito di un ficus che crea figli diversi da se stesso e che saranno studiati come i primi ficus nati da semi.

Dal grande «macrophylla columnaris» che copre con le sue foglie il panorama della città all’antichissima Melaleuca che ancora dopo secoli sta strisciando a terra sostenuta da bastoni per non morire ed è fiorita fino a tre mesi fa.

L’Orto Botanico attraverso estati e temporali, guerre e Festini, con dieci serre e 12 mila specie, con l’Erbario di 500 mila campioni visitati da studiosi internazionali - arrivano anche i cinesi e gli australiani - e la biblioteca di 19 mila volumi mille dei quali sono i primi arrivati del fondo antico.
Un Orto che è il più grande, il più ricco di specialità e il più subtropicale d’Europa. E oggi, con la donazione degli spazi Unicredit che lo congiungeranno all’Oreto, è l’unico Orto Botanico con il privilegio di un fiume accanto.

Nelle parole dei rappresentanti di Unicredit che l’hanno visitato, «l’unico posto dove in gennaio si vedono volare tante farfalle tutte insieme».

Nel 1790 il primo nucleo di Orto, istituito dal presidente della Gran Corte Civile Giovan Battista Paternò sul Bastione di Porta Carini. «Un luogo che presto si rivelò angusto e inadeguato alle esigenze didattiche, tanto che quasi subito iniziarono le pratiche del suo trasferimento», così ricorda l’ex direttore Francesco Maria Raimondo oggi assessore al Verde del Comune di Palermo in un volume firmato con il professor Pietro Mazzola. E poi il trasferimento nell’attuale sede accanto alla villa senatoria, la Flora detta anche Giulia, nel piano di Sant’Erasmo, nelle terre della Vigna del Gallo possedute dal duca Ignazio Vanni d’Archirafi.

Da allora e nella scenografia di oggi, l’Orto Botanico è la fantasia tropicale di Palermo. Con il suo albero «struggente» per definizione scientifica e stritolatore in senso vero: il gigantesco Ficus Magnolioides che quando germina sul ramo di un altro albero allunga le radici aeree come colonne che raggiungono il terreno e diventano tronchi supplementari.
Albero da pittori, fotografi e anche pauroso, la grande chioma lucida di foglie che copre un pezzo di città e sotto, al buio, dove la luce non arriva, una foresta di rami conficcati in tronchi, vicoli e corridoi che portano a zampe di draghi e tane di serpenti. È stato importato nel 1875 dalle isole Norfolk dell’Australia ed è proiettato nel futuro: ci sarà fra cento e trecento anni. Non ha il record di altezza che appartiene al Ficus di Villa Garibaldi su Palazzo Steri, non raggiunge i 40 metri, ma segna con l’ampiezza del suo fogliame il panorama di Palermo.

O il Bambù Gigante con il suo destino imparabile, l’albero che scoppia di vita e muore nello stesso istante. Che aspetta non si sa da quanto tempo, cinquanta, cento, duecento anni la sua fine pirotecnica: una fioritura-morte che nello stesso istante colpirà tutti i Bambù Gigante della terra che appartengono al suo tipo e alla sua generazione. Tutti fioriti e morti in contemporanea ovunque si trovino per una legge di sopravvivenza recentemente studiata, un c’era una volta scientifico raccontato anche dallo studioso Carl Zimmer.

Ed è storia dell’Orto anche il professor Werner Greuter, il botanico internazionale che arriva da Berlino nel 1972 e da allora lavora in un’ala del Gymnasium, curatore onorario dell’Herbarium Mediterraneum «la più grande collezione in Italia e nel Mediterraneo dopo quella di Firenze». Circondato da duecento, trecentomila e più foglie essiccate, tutti campioni che vengono periodicamente congelati alla temperatura di -20°, «un disinfettante preventivo e periodico che funziona bene. In passato si immergevano i campioni in una sostanza tossica, il fluoruro di mercurio che disinfettava evaporando e ha fatto perdere i denti, capelli e qualche volta anche la vita agli operatori, ma i reperti si mantenevano bene». Va in giro per l’Orto Botanico e lo conoscono tutti, è lo scienziato stabile, arrivano telefonate da Cuba, Baleari, Canada.

Nell’Orto Botanico che oggi è «on line» col mondo. «È in rete con gli altri Orti d’Italia, ha una Banca del Germoplasma e fa attività di conservazione - spiega il direttore Cristina Salmeri – ed ha un Erbario dove arrivano ricercatori da tutto il mondo, in questi giorni è pronto l’index seminum del 2015 da fornire per gli scambi e incrementare le collezioni».

L'Orto oggi «che non è un museo statico ma un centro propulsore della città». Produce design verde in base a convenzioni con il Comune, con la Regione, «stiamo lavorando nel territorio per l’inverdimento della linea del tram, intorno ai binari, in Corso dei Mille che è la parte normanna della città saranno piantati aranci amari e altrove carrubi, oleandri, cipressi colonnari, chorisie, tipuane di origini sudamericane a fiori gialli».

In fase di realizzazione anche la sistemazione dei giardini di Palazzo dei Normanni, secondo un progetto del professor Raimondo.

Oggi che l’Orto Botanico diventerà più grande, i visitatori sono in crescita, «73 mila nel 2015, 58 mila gli accessi online, 3.800 contatti sui social, richieste di semi e piante dal Belgio, dall'Austria, Finlandia ricercatori che arrivano dalla Cina, dall'Ungheria...»

Nell’attualità dell’Orto Botanico di Palermo c’è la panoramica di esemplari messi a dimora in questi ultimi mesi, il Podocarpus parlatorei, una specie argentina dedicata al botanico palermitano Filippo Parlatore, il Pandanus furcatus, espressiva pianta indiana. E tra le palme l’Hyphaene coriacea, la palma Dum dell’Africa tropicale, Bismarkia nobilis, argentea e grande palma del Madagascar. E ancora l’Acronomia aculeata, spinosissima palma dell’America tropicale, la Roystonea regia, la Palma Reale Cubana, dallo stipite ingrossato alla base. E tra le cicadee: Lepidozamia peroffskyana, elegante zaminacea australiana, in questo momento in fruttificazione, la Cicas ophiolitica, lentissima e ancestrale cicadea australiana, l’Encephalartos kisambo originario del Kenia.

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