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Attentato a Istanbul, Orsini: Turchia attaccata perché sta combattendo l'Isis

ROMA. «La Turchia ha contribuito a ridurre il flusso di foreign fighters verso la Siria, danneggiando al Baghdadi. E ha iniziato a usare la mano dura, bombardando anche le postazioni dello Stato Islamico più vicine ai suoi confini. Questo spiega gli attentati». Alessandro Orsini, docente di Sociologia del terrorismo alla Luiss di Roma e direttore del Centro studi sul terrorismo all'Università di Roma-Tor Vergata, non ha dubbi sui mandanti della strage di Istanbul: «Il Califfato attacca la Turchia, perché in Siria e Iraq sta colpendo meno ma meglio di altri». Sui Miliziani dell'Orrore, intanto, lo studioso ha scritto un saggio che uscirà a fine mese, edito da Rizzoli e dal titolo decisamente curioso: «Isis, i terroristi più fortunati del mondo e tutto ciò che è stato fatto per favorirli».

Erdogan nel mirino per l'efficacia del suo impegno anti-Isis. Sbaglia, allora, chi ancora adesso ripete contro il premier turco le accuse di «ambiguità» verso lo Stato jihadista?
«Sbaglia perché non ci sono ambiguità da parte di Erdogan nella lotta contro l'Isis. Il fatto che curi gli interessi della Turchia, temendo l'espansione dei curdi all'interno dei propri confini, non significa essere ambigui. La Russia bombarda molto di più i ribelli filo-turchi e filo-americani che i militanti dell'Isis. Tutti gli Stati che sono coinvolti nel conflitto in Siria e in Iraq antepongono i propri interessi nazionali alla lotta contro l'Isis. Agiscono, sulla base dei propri interessi particolari, Francia, Qatar, Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Non capisco perché la Turchia debba essere condannata per il fatto di volere agire come tutti gli altri».

Tra le prime misure eccezionali assunte dopo la strage di Istanbul, l'immediata esecutività delle nuove norme sulla censura a giornali, social network, siti Internet. Un provvedimento destinato a far crescere polemiche e sospetti?
«Il terrorismo islamico ci costringe a prendere provvedimenti che, in parte, riducono le libertà individuali. Sono contrario a ogni forma di censura sui giornali, ma il controllo di ciò che gli individui fanno nel web è indispensabile dal momento che internet è il canale privilegiato di scambio tra l'Isis e gli aspiranti jihadisti. La società civile, soprattutto in Francia, è divisa tra coloro che sono contrari a maggiori controlli sui siti internet e coloro che sono favorevoli. Io appartengo alla seconda categoria. Sono uno studioso di terrorismo e conto morti dalla mattina alla sera. Ben vengano maggiori controlli sui nostri computer, anche se con i dovuti limiti».

I precedenti non mancano...
«La Francia ha approvato, nel maggio 2016, una legge che ha istituito la Commissione nazionale per il controllo tecnico dei servizi di informazione, composta da sei magistrati, sei parlamentari - tre dell'opposizione e tre della maggioranza - un esperto della materia, il capo dei servizi segreti e il Primo ministro, che prende tutte le decisioni più importanti quando si tratta di mettere sotto controllo le attività svolte in internet da coloro che vivono in Francia. Le uniche categorie che non possono essere indagate dalla Commissione sono gli avvocati, i magistrati e i giornalisti. In casi di particolare urgenza, il capo dei servizi segreti prende le decisioni e poi le comunica al primo ministro, che può annullarle. I magistrati sono tenuti a essere garantisti e questo va benissimo con tutti. Ma con i terroristi islamici occorrono ben altre cautele».

Per tornare alla Turchia, infondati anche i sospetti di traffici illeciti di greggio tra Mosul e Ankara?
«Questi traffici credo che esistano, ma non per colpa del governo turco. In Italia esistono i traffici illeciti della camorra, che il governo contrasta. Impossibile controllare tutto ciò che fanno i cittadini perché esiste una realtà che si chiama società civile e che in alcuni casi striscia, anziché muoversi!».

Anche tre cittadini russi fra gli arrestati per terrorismo in Turchia. Sorpreso?
«Nel nord del Caucaso, l'Isis ha fondato una provincia ufficiale. Il governo russo controlla territori in cui ci sono molti jihadisti. Perché dovrei essere sorpreso? La dietrologia, quando diventa un'ossessione, è un veleno che distorce la realtà e impedisce la conoscenza».

Il siriano che martedì s'è fatto esplodere nella zona della Moschea Blu, aveva chiesto il riconoscimento della condizione di profugo. Solo una conferma ai tanti, diffusi, timori legati ai flussi migratori?
«Nell'era dell'Isis, i flussi migratori, soprattutto quando sono imponenti, rappresentano un pericolo potenziale, ma dire questo non significa essere contrari alla società multiculturale. Significa constatare un dato di fatto per prepararsi a fronteggiare le minacce. Dal mio punto di vista, il vero problema non è rappresentato da ciò che i migranti pensano oggi, ma da quello che penseranno domani, visto che arrivano in Europa in un contesto caratterizzato da una crisi economica, in cui sono presenti correnti culturali razziste e xenofobe. Nel 2014 sono sbarcati in Italia circa 140 mila migranti. Non può essere escluso il pericolo che una piccola minoranza di questi si radicalizzi».

A proposito di migranti. In Libia, i «boss dei barconi» prosperano indisturbati e il Califfato dilaga. Sicilia, Italia, a pochi passi da una polveriera?
«In Libia ci sono circa migliaia di miliziani dell’Isis, di cui circa 1200 a Sirte. Sono presenti anche a Derna, Benghazi, Ajdabiya, Nofilia e Sabrata ovvero sulla fascia costiera, tra Tobruk e Tripoli e, dunque, a due passi dalla Sicilia. L’accordo tra Tripoli e Tobruk per un governo di unità nazionale, ammesso che nasca davvero, non è esattamente una buona notizia, visto che la comunità internazionale vuole costruire una pace per fare una guerra contro gli uomini di al Baghdadi. L’Isis si considera un Califfato e, nella prospettiva di al Baghdadi, sparare contro Sirte è come sparare contro Mosul».

Quindi?
«Il problema è che, presto o tardi, qualcuno dovrà pur sparare in Libia perché nessun jihadista depone le armi con un... invito scritto delle potenze occidentali. Lotteranno fino alla fine. Il futuro non è roseo. Se l’Italia interverrà direttamente nella guerra contro l’Isis, l’odio jihadista contro il nostro paese crescerà. Se non interverrà, perderà posizioni importanti, in favore delle potenze occidentali che invieranno i soldati o gli aerei. Tutti sanno che l’Italia ha interessi per miliardi di euro in Libia. Il disastro ormai è avvenuto, nel senso che l’Isis si è impiantato anche in Libia, dove ha stabilito una provincia ufficiale. La diplomazia italiana, almeno finora, ha gestito in maniera eccellente la situazione libica, ma il futuro non dipende soltanto dalle nostre scelte».

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